lunedì 31 gennaio 2011

MAGICO EVENTO

Uno degli eventi del 2010 è stata la chiusura di Magico Vento. Tutta la serie di Gianfranco Manfredi, del resto, si può considerare un evento nella storia del fumetto italiano, per una lunga serie di elementi innovativi e caratteristici, a partire dall'autorialità del prodotto, firmato peraltro da un autore decisamente multimediale, scrittore, cantautore, regista e attore. Nel mio ipod figurano alcune canzone da lui scritte per Ricky Gianco, e ricordo di averlo visto in pellicole molto divertenti come "Amore in prima classe" (con Enrico Montesano), "Colletti bianchi" (con Giorgio Faletti), "In camera mia" (con Nastassja Kinski e Ricky Tognazzi) e "Kamikaze" (in cui era il protagonista).

Sono stato con lui a Istanbul e si è rivelato, più ancora di quanto già sapevo, una persona colta e divertente al tempo stesso, sempre acuta e mai banale nei giudizi e nei commenti. All'epoca dell'uscita del primo numero di Magico Vento ebbi la ventura di intervistarlo per una anteprima della serie pubblicata su Dime Press, di cui sono stato uno dei fondatori. Quasi a voler chiudere il cerchio, Saverio Ceri, un'altra delle colonne di quella rivista e prezioso collaboratore di questo blog, ha dedicato a Ned Ellis la quinta puntata della sua rubrica "Diamo i numeri". Dopo le sue statistiche, interessanti come sempre, troverete proprio l'intervista a Manfredi da me realizzata nel 1997.

NUMERI AL VENTO
Diamo i n
umeri 5

di Saverio Ceri

Poco più di due mesi or sono si è interrotta, come da tempo annunciato, la saga di Magico Vento, il primo personaggio creato da Gianfranco Manfredi per la Sergio Bonelli Editore. La serie iniziata nel 1997 rappresentò per l’editore, dopo anni di stasi, la prima di ben otto nuove collane che furono lanciate nel giro di poco tempo.

La carriera di Magico Vento si chiude dopo 13 anni a quota 131 albi. I primi 100 con cadenza mensile, poi bimestrale. Il cambio di periodicità coincide anche con l’aumento della foliazione degli albi che passano da 94 a 124 tavole; caso particolare il numero di chiusura, che pur mantenendo ufficialmente la numerazione regolare presenta chiaramente in copertina e in costola elementi che lo contraddistinguono come albo speciale, e che presenta 206 pagine a fumetti.
In totale di Magico Vento sono state pubblicate 13.326 tavole che posizionano Ned Ellis, questo il nome di battesimo del protagonista, solidamente al 12° posto nella classifica dei personaggi bonelliani di sempre.

Gli sceneggiatori che hanno legato il loro nome allo sciamano bianco sono solamente cinque, questo l’ordine in base al contributo in tavole dato al personaggio.

Manfredi 12578 tavole
2° Queirolo 372
3° Faraci 188
4°Segura 141
5° Lugano 47

La parte del leone la fa ovviamente il “padre” del personaggio che ha realizzato oltre il 94% delle storie. Una doverosa segnalazione anche per Renato Queirolo, lo “zio” di Magico Vento, si potrebbe dire, vista la cura con cui lo ha seguito fin dalla nascita. Queirolo, per Ned Ellis è tornato, eccezionalmente, a scrivere in prima persona: tre le storie da lui sceneggiate.



Decisamente più folto il gruppo dei disegnatori che si sono alternati sulla pagine della testata; ventotto il loro numero. Di questi ben dodici sono poi (o prima) transitati sulle pagine di Tex, a testimonianza anche dell’alta qualità degli illustratori della serie. Qui li trovate elencati in ordine di tavole realizzate:

Ramella 1761,5 tavole
2° Barbati 1503,67
3° Frisenda 1316
4° Perovic 1090
5° Milazzo 1034
5° Parlov 1034
7° Biglia 970,17
8° Siniscalchi 620
9° Ortiz 564
10° Mastantuono 376
10° Milano 376
12° Talami 350,5
13° Volante 334,83
14° Piccatto 282
15° Di Vincenzo 250
16° Leomacs 218
17° Giez 188
17° Sicomoro 188
19° Spadoni 186
20° Nespolino 124
20° Della Monica 124
22° Marcello 94
22° Roi 94
22° Spadavecchia 94
25° Pezzi 61
26° Raffaelli 47
27° Copello 31,33
28° Matteoni 14

Vince Bruno Ramella, creatore grafico del personaggio e autore di riferimento per molti dei disegnatori che gli sono succeduti ai pennelli. I numeri decimali derivano del fatto che alcune storie sono state firmate a sei o addirittura a otto mani.

Tre i copertinisti che si sono avvicendati sulla testata: Venturi all’esordio, poi Frisenda e infine Mastantuono. L’ordine della quantità delle cover disegnate è inverso all’ordine di apparizione:

Mastantuono 56 cover
2° Frisenda 44
3° Venturi 31

Per chiudere alcune curiosità.
La storia più lunga è “La guerra di Toro Seduto” di 500 pagine, pubblicata sui numeri dal 97 al 101, la più breve “Memorie del tempo perduto”, ovvero le 14 pagine di raccordo tra i tre episodi dell’ultimo numero.
Barbati e Ramella sono gli unici disegnatori dello staff iniziale ad aver accompagnato il personaggio fino alla chiusura: ogni anno, tra il 1997 e il 2010, è stata pubblicata almeno una loro storia. Alla prossima.

Saverio Ceri

TERZO GRADO
INTERVISTA A
GIANFRANCO MANFREDI
a cura di Moreno B
urattini
dalla rivista "Dime Press"
n° 16 (1997)

Sembra quasi impossibile che possa esistere uno come Gianfranco Manfredi. Cioè, si può benissimo immaginare che ci sia qualcuno in grado di scrivere trecento canzoni, incidere dischi e scrivere perfino saggi di critica musicale. E' pensabile che uno sceneggiatore di film e serie televisive possa recitare o aver recitato come attore in qualche pellicola. Si può supporre che uno scrittore di romanzi sia in grado di passare con disinvoltura ai testi dei fumetti, proponendosi sia come interprete di personaggi altrui sia come creatore di serie proprie. Ma che ci sia una sola persona in grado di fare tutto ciò, ha dell'incredibile. Se poi si aggiunge che la persona in questione è anche autore di scritti di filosofia ("L'amore e gli amori in J.J.Rousseau") e che pur proponendosi come sceneggiatore unico di una nuova serie bonelliana non ha intenzione di mollare Nick Raider e continua anche a coltivare a tempo perso anche le altre attività, beh... allora, c'è un mistero sotto. Tutto lascia supporre che il Mister Jinx di Martin Mystère esista davvero, e che Manfredi frequenti la base di Tempo Zero, dove l'orologio si rallenta e ventiquattro ore si dilatano a un mese. Nato a Senigallia (Ancona) nel 1948, Manfredi si è laureato in Filosofia a Milano, città dove tuttora risiede. Lì, Dime Press lo ha rintracciato e ha ottenuto un'interessante intervista su Magico Vento.

Dime Press - Magico Vento: per ora soltanto un nome, anche se molto evocativo. Prima ancora che la serie si sviluppi, può descriverci brevemente chi è questo nuovo personaggio e quali saranno le sue principali caratteristiche?

Gianfranco Manfredi - Magico Vento è quello che i Sioux chiamano un "Uomo Strano". In altre parole, non è soltanto un uomo della medicina, ma uno sciamano e un guerriero con il dono della "visione" e capacità che vanno al di là della normale ritualità indiana. L'Uomo Strano, insomma, sfugge a ogni regola e da lui ci si può aspettare di tutto. Tra l'altro, Magico Vento non è un indiano, ma un bianco passato con i Sioux a seguito di una misteriosa vicenda che sarà raccontata nel primo episodio. A causa di una scheggia di metallo conficcata nella sua testa, Magico Vento ha perso la memoria e dunque ignora del tutto il suo passato da bianco. D'altro canto quello stesso trauma gli ha dischiuso le porte del futuro, nel senso che Magico Vento riesce a intuirlo attraverso drammatiche visioni profetiche. Magico Vento, dunque, non è un eroe "tutto d'un pezzo". La sia personalità è in qualche modo scissa.

DP - Accetta la definizione di "western" per la sua nuova serie, oppure ne preferisce un'altra?

GM - La serie Magico Vento è sicuramente western per ambientazione e attenzione storica e geografica, ma mi piace pensarla "oltre" il genere. Risente infatti di influenze e sviluppa temi che il pubblico non è abituato a trovare nel western classico.

DP - In che cosa, soprattutto, Magico Vento si distinguerà dalla tradizionale letteratura (a fumetti, su pellicola e in prosa) della mitologia e dell'epopea del West e della Frontiera?

GM - L'idea di un personaggio del genere mi era venuta qualche anno fa, riflettendo sul declino del cinema western (che a parte sporadici episodi tipo Balla coi Lupi o L'Ultimo dei Mohicani ancora ricalca pedissequamente le orme di Sergio Leone). Quello che mi chiedevo era: si può trovare un modo nuovo per raccontare il west? Allora sono tornato alle fonti e ho scoperto l'acqua calda, anzi bollente: cioè che per i primi scrittori della frontiera, il west rappresentava "i confini della realtà". Le storie ad opuscoli pubblicate da Buffalo Bill sono piene di fantasmi e di manifestazioni soprannaturali, e persino le memorie del Generale Custer ci presentano le Grandi Pianure come il regno dell'ignoto, terra di miraggi e apparizioni. Del resto basta leggere una cartina geografica del West per rendersi conto di questo modo "fantastico" di interpretare la realtà e di trasfigurarne i luoghi: Wounded Knee (Ginocchio ferito), Dust Bowl (Palla di polvere), Loup Fork (Cappio da Forca), Devil's Tower (Torre del Diavolo)... l'elenco potrebbe durare per pagine. Qui ho trovato il fondamento per raccontare il West coniugando storia reale e leggenda, e sfruttando una certa mia propensione per l'horror e il magico. Un tentativo del genere del resto lo avevo già fatto nel mio libro di racconti Ultimi Vampiri, che raccontava eventi cruciali della storia europea dal punto di vista dei vampiri, cioè della leggenda. A quel tempo Grazia Cherchi, un critico letterario che stimavo moltissimo e che rimpiango, aveva definito questa mia inclinazione come "realismo visionario", una definizione che mi va ancora benissimo.

DP - Qual è, o qual è stato, il suo rapporto con il western in passato? Ne era un appassionato cultore, un critico selezionatore, un fruitore distratto, o addirittura un detrattore?

GM - Il primo film western che ho visto da bambino era Kociss. Ricordo che mi emozionò molto la scena in cui Kociss veniva legato a una graticola sui carboni ardenti. Da allora sono sempre stato dalla parte degli indiani. Dunque, più avanti, i film western che ho gradito di più sono stato Il Piccolo Grande Uomo e Un Uomo chiamato cavallo. Mi è suonato quasi offensivo che Sergio Leone si sia sempre altamente fregato degli indiani. Tra i western "bianchi" metto tra i memorabili: La Leggenda del Generale Custer con Erroll Flynn, attore che mi folgorò da piccolo per la sua leggerezza e ironia, L'Uomo che uccise Liberty Valance e Il mucchio selvaggio. Anche questi sono western che parlano insieme della storia e della leggenda del West.


DP - Crede anche lei che, comunque, il genere western sia definitivamente al tramonto?

GM - Non credo che la grandezza del cinema western di un tempo possa tornare. Oggi i film western che diventano dei grandi successi non funzionano perché sono dei western, ma perché sono dei bei film. E questo non vale solo per i film. Condivido l'opinione di Sergio Bonelli, secondo il quale Tex è ancora un fumetto popolarissimo non perché sia un western, ma perché è Tex. Ciò che decide dei destini di una serie a fumetti, insomma, è il personaggio, anzitutto, e poi il clima creato dalle storie e la qualità della realizzazione. Il genere viene molto, ma molto dopo. Non è più la cosa fondamentale.

DP - Le tavole viste in anteprima mostrano una impostazione molto classica e tradizionale (in senso bonelliano) della scansione e del montaggio. La struttura è quella classica su tre strisce, la narrazione sembra molto fluida. Non ci sono scomposizioni dirompenti dell'impaginazione standard o ricerche di effetti grafici sofisticati come, per esempio, in Nathan Never. E' stato lei a scegliere questo tipo di impostazione? Se sì, perché?

GM - Questa impostazione credo sia la cosa più importante e notevole della tradizione Bonelli che, unico editore al mondo, ha tenuto fede a un programma molto impegnativo di fumetto popolare e narrativo. La condivido appieno ed è perfetta per Magico Vento, perché le storie di questa serie sono molto ricche di situazioni, svolte impreviste e legami interni. Non voglio che i lettori si distraggano e perdano il senso della storia, cosa che succederebbe inevitabilmente se li costringessimo a dover decifrare ad ogni momento qual è l'ordine giusto delle vignette, o a perdersi nei labirinti di tavole che anneghino il "fucking point" (cioè il gesto decisivo e centrale) tra mille altri dettagli.

DP - Magico Vento sarà un personaggio più avventuroso o più problematico? In altre parole, che tipo di storie andrà proponendo? Saranno racconti soprattutto pieni d'azione (o di mistero), o punteranno anche sull'introspezione dei personaggi e sull'approfondimento di temi e problemi quali, per esempio, la questione indiana (o quelli più eterni del "chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?")?

GM - Non voglio anticipare le storie per non rovinare la sorpresa, tantomeno le mie intenzioni perché, come si sa, di buone intenzioni è lastricato l'inferno. Non credo comunque che l'avventura, se è buona avventura, possa oggi permettersi di trascurare la "problematicità". Non voglio presuntuosamente affrontare questioni "metafisiche", cosa che sarebbe del tutto ridicola in un fumetto, ma questo non toglie che non si possa nel dovuto modo alludere anche a temi importanti. Per "dovuto modo" intendo riferirmi alla buona regola del cinema e della letteratura (e dovrebbe valere anche per il fumetto) di non svelare troppo le metafore. Se Melville ci avesse spiegato che Moby Dick rappresenta Dio, o il Diavolo, o il Destino Umano, il suo romanzo di sarebbe rimpicciolito. Dobbiamo credere che sia una balena perché il racconto possa reggere e appassionarci. Sta poi alla nostra sensibilità di lettori coglierne i significati simbolici.

DP - Gli episodi di Magico Vento saranno autoconclusivi e ciascuno a sé stante, al punto da poter essere interscambiabili come accade in Dylan Dog o in Nick Raider, tanto per fare degli esempi, o ci sarà una continuity interna come in Ken Parker?

GM - Le storie sono episodi conclusivi ma "in progress", cioè c'è nella serie quella continuity che gli autori di fumetto hanno sempre sognato e molto di rado sono stati messi in grado di realizzare. Io ho potuto farlo grazie al lavoro della casa editrice e in particolare di Renato Queirolo che ha studiato un adeguato piano di uscite che permettesse di rispettare questo disegno generale. Quindi il personaggio di Magico Vento in qualche modo sarà segnato dalle esperienze che attraverserà e maturerà nel tempo, scoprendo gradatamente nuove cose di sé e nuovi modi per affrontare le situazioni. A questo si aggiunge una vera folla di personaggi collaterali che tornano periodicamente nelle storie. Insomma ho trattato i singoli episodi come capitoli di un "romanzone", cercando di stare bene attento a non farlo diventare mai un "polpettone". Il lettore potrà cioè seguire i singoli episodi senza dover necessariamente essere informato dei precedenti, ma quello che mi auguro è che resti affezionato alla serie proprio perché le situazioni non si replicano, ma sono in sviluppo e lasciano sempre aperta la porta alla curiosità sul futuro.

DP - Quale crede che sarà, soprattutto, il pubblico di Magico Vento? Si è prefisso un target particolare? Da quali "bacini d'utenza" attingerà?

GM - Non lo so. E' il pubblico dei fumetti e questo mi basta. Ho la fortuna di lavorare in una casa editrice che non fa indagini di mercato prima di muoversi e non insegue le mode del momento. Ho sperimentato sia nel cinema che in televisione che con l'ossessione di seguire i gusti e le presunte richieste del mercato non si ottiene altro che produrre per il "mercato che non c'è più", o di quello che "c'è sempre", servendo così cibi muffiti o la solita minestra. Quanto al "target", chi fissa troppo a lungo il bersaglio di solito non lo centra. Nel West poi, finisce regolarmente per essere centrato lui, da tiratori più veloci e più sciolti.

DP - Lo staff dei disegnatori è di eccezionale caratura. Che cosa ne pensa? Li ha scelti lei? C'è qualcuno non ancora arruolato che vorrebbe avere fra i suoi?

GM - Nella scelta dei disegnatori è stato fondamentale Renato Queirolo, che ha capito perfettamente, anche più di me, che il senso di questa serie non sarebbe arrivato ai lettori se tradito nel segno, nella capacità dei personaggi di recitare e nella fluidità delle azioni. In questa serie non si tratta soltanto di illustrare una sceneggiatura, ma di farla vivere sulla pagina e renderne appieno le sfumature. Per quanto mi riguarda, i disegnatori esigo di conoscerli personalmente uno per uno. Seguo il loro lavoro con scrupolo, non per spirito di "sorveglianza", ma per poter imparare a utilizzare al meglio il loro talento e assecondare, nella distribuzione delle storie, le loro diverse caratteristiche. Ce ne servono altri, naturalmente. L'importante è che siano giusti per la serie e condividano questa reciproca disponibilità, possibilmente con entusiasmo. Mi piacerebbe che non fossimo semplicemente dei professionisti che lavorano insieme, ma un vero Mucchio Selvaggio.

DP - Sarà sempre e soltanto lei a scrivere le storie o già è previsto l'arrivo di altri sceneggiatori a darle man forte?

GM - Da quel che ho detto prima credo sia evidente che per il momento (e sarà un momento che durerà a lungo) devo scrivere le storie da solo, proprio perché i singoli episodi sono collegati e inseriti in uno sviluppo generale. Del resto non c'è adesso nessuna urgenza di sceneggiatori perché ho la fortuna di "scrivere veloce" e, soprattutto se mi diverto, come in questo caso, produco a gran ritmo.

DP - Qual è il contributo di Renato Queirolo, curatore della serie?

GM - Queirolo sa rendere il mio lavoro di scrittura meno solitario. Verifico e discuto con lui le singole sceneggiature e le linee di sviluppo della serie. Renato dedica a Magico Vento un impegno raro e particolare, e sa cogliere persino il "suono" delle mie idee e valutare con me il modo più giusto per farlo arrivare, proprio come un ottimo arrangiatore sa fare con una canzone non scritta da lui: rispettandola fino in fondo, ma cercando di dare sempre il suo contributo per migliorarla.

DP - Dovendo scrivere Magico Vento, abbandonerà Dylan Dog e Nick Raider?

GM - Tutte le volte che sento il bisogno di prendermi una pausa dal West e dai misteriosi sentieri della magia, mi metto a scrivere una storia di Nick Raider. Scrivere un plot giallo mi viene naturale e lo trovo rilassante come uscire a fare una passeggiata. Dylan Dog, per sua natura, è molto meno distensivo e dunque non potrò continuare a collaborarci. Ma le storie scritte da me usciranno lo stesso, dato che nei primi due anni del mio lavoro per la Bonelli ne ho consegnate parecchie.

DP - Lei è arrivato alla Sergio Bonelli Editore dopo l'esperienza di Gordon Link con la Dardo. Quali differenze ha riscontrato fra le due case editrici e come si è trovato nel passaggio?

GM - L'esperienza con Casarotti alla Dardo è stata molto importante per me, in un certo senso la mia nave scuola, per quanto riguarda il fumetto. La collaborazione è nata per caso (dopo aver scritto la serie di telefilm di Valentina, progettavo una serie TV sul Grande Blek). E' stato Casarotti a suggerirmi di scrivere direttamente a fumetti, visto che li amavo tanto, e di non limitarmi a cercare di trasferirli sullo schermo. Così, devo il mio debutto nel fumetto a lui. Alla Bonelli ho trovato una struttura redazionale e organizzativa che mi ha permesso di lavorare al meglio. Quello che sinceramente non mi sarei aspettato, era di scoprire in una grossa casa editrice lo spirito artigianale ed entusiasta di gente che crede in quello che fa e ci si appassiona, cosa senza la quale il lavoro di scrivere è di una insostenibile pesantezza. La sorpresa è stata così piacevole che per la prima volta nella mia vita ho finito per passare al misurino gli altri (e tanti) lavori che facevo. Ho mantenuto quelli che considero ancora importanti per la mia crescita, e scartato tutte le offerte "di commissione" che non riuscivo più a sopportare, grazie all'esperienza felice con la Bonelli. Sergio Bonelli in persona, poi, mi ha sempre mostrato grande stima e amicizia ancor prima che mi "trasferissi" da lui, invitandomi, tanto per fare un esempio, a moltissime iniziative nate attorno a Dylan Dog, per parlare del mio Gordon Link. Finché mi ha dato fiducia per una serie nuova, Magico Vento, appunto, anche se tra i suoi collaboratori ero l'ultimo arrivato. Scusate se è poco.

DP - Lei è un autore singolarmente multimediale: autore di canzoni, critico musicale, sceneggiatore cinematografico e televisivo, attore, saggista e scrittore di romanzi. Normalmente, il fumetto viene considerato la cenerentola dei media, l'ultimo dei possibili modi di comunicare. Lei non pare di questo avviso, visto che accanto ai suoi tanti interessi vi si sta dedicando da tempo, con ottimi risultati.

GM - Non mi pare affatto che i comics siano tanto negletti. Tanto per dirne una, mi è capitato dopo la pubblicazione di una delle prime storie che ho scritto per Dylan Dog, di poter leggere una recensione di quattro colonne di Giulio Giorello sulle pagine culturali del Corriere della Sera. Tra l'altro Giorello aveva colto una serie di aspetti matematico-filosofici che nella storia avevo messo del tutto sullo sfondo. Ora, nei miei romanzi ho infilato sempre una messe di elementi filosofici (dopotutto sono laureato in filosofia) e in molta maggiore evidenza. Se ne fosse accorto qualcuno!

DP - Lei è stato lo sceneggiatore dei telefilm ispirati al personaggio di Crepax, Valentina, impersonata da Demetra Hamptom. Dunque, si è già occupato della trasposizione per lo schermo di storie a fumetti. Pensa che agli eroi di carta giovi il passaggio al cinema o in TV?

GM - Io ho scelto il fumetto dopo molte esperienze professionali. Sento l'orgoglio del fare fumetti forse più di tanti che questo lavoro lo fanno da anni e anni e che magari non hanno mai fatto altro. Il fumetto deve essere felice di essere se stesso. Se da un fumetto qualcuno vuole ricavare un film, può anche andar bene, ma è una specie di valore aggiunto. Insomma: anche se la televisione ha reso più popolare Valentina, la vera Valentina resta sempre quella di Crepax, quella dei fumetti.

DP - Dovendo presentarsi al pubblico dei lettori bonelliani come autore di "altro" dal fumetto, quali fra i suoi dischi, i suoi film e i suoi libri consiglierebbe di rintracciare? Quali suoi lavori extrafumettistici, insomma, lei considera i suoi migliori biglietti da visita?

GM - I miei dischi sono irrintracciabili. Non dico quali meriterebbero di essere rintracciati se no poi i lettori ne chiedono una copia a me, e non potrei accontentarli. I miei libri sono rintracciabili gratis nelle biblioteche pubbliche e saranno, spero, ristampati, ma non prima che io ne abbia pubblicato uno nuovo. Non faccio graduatorie tra loro perché sarebbe come preferire un figlio all'altro. Ciascuno significa ancora qualcosa per me. I film che ho fatto da attore, vi prego: non vedeteli! La maggior parte li ho fatti per amicizia, per divertimento, o per pagare l'affitto. Quelli che ho fatto come sceneggiatore, ad eccezione del primo, Liquirizia di Samperi, tutti o quasi gli altri sono stati lavori puramente professionali scritti su commissione. Qualcuno è venuto carino. Qualche volta mi sono pure divertito. Della maggior parte dei lavori non sono affatto contento. Le storie che ho creato io non si sono mai realizzate, e sempre "per un pelo". Dunque, la cosa che devo di più al cinema è la duttilità e la misura nel lavoro di sceneggiatore.

DP - Oltre Nick Raider e Magico Vento, sta continuando le altre sue attività? Quali progetti ha nel cassetto o in lavorazione in questo momento?

GM - Sto lavorando a due romanzi. Al primo, lavoro già da quattro anni. E' un romanzo storico molto impegnativo (per documentazione, per stile, per argomento). Non ho fretta di finirlo, né di pubblicarlo, perché è un lavoro da condurre con estrema ponderazione. L'altro, dovrebbe uscire l'anno prossimo: è una storia molto nera, molto italiana e molto contemporanea. Da brivido, insomma.

domenica 30 gennaio 2011

DOMANDE E RISPOSTE

Mi sono messo a fare un po' di progetti e a studiare una pianificazione per i prossimi argomenti di questo blog. Ho perfino concordato con Saverio Ceri un programma di dodici suoi interventi con la rubrica "Diamo i numeri", una puntata al mese, cominciando da quella di gennaio pubblicata all'inizio di febbraio e poi proseguire alla fine di ogni mensilità. L'argomento della prima puntata del 2011 saranno le statistiche finali della saga di Magico Vento. Le cose da dire sono davvero tante e per quanto me le annoti per non dimenticarle per strada e programmi le scadenze, succede sempre che me ne vengono in mente altre più urgenti che fanno rimandare gli argomenti in attesa.

Comunque, ho promesso alcuni post sul problema dei giovani autori, aspiranti disegnatori e sceneggiatori e conto di farlo durante febbraio. Mi piacerebbe anche riprendere alcune tematiche a me care che ho lasciato da parte, come la poesia, la letteratura, le recensioni di libri, i misteri, l'esoterismo e la religione. Poi ci sono le foto dei miei incontri con gli autori di venti o trent'anni fa, e le mie personali disamine delle storie da me scritte in passato di cui mi si chiede da più parte di continuare la stesura. Ovviamente, ci saranno le consuete anticipazioni sui programmi zagoriani e più in generale bonelliani e quelli relativi alle collezioni Mondadori dei personaggi di Max Bunker.


Altrettanto ovviamente, parlerò diffusamente delle celebrazioni del cinquantennale dello Spirito con la Scure. Continuerò a commentare, inoltre, le varie fenomenologie dell'universo multimediale della comunicazione e tirerò fuori dal cassetto curiosità e articoli da me scritti in passato e vi aggiornerò sui video più interessanti della Zagor TV. Prima però di archiviare il mese di gennaio, ho pensato di recuperare alcune mie risposte fornite ai lettori durante l'anno 2010, nel "filo diretto" che tengo da tempo in uno dei forum zagoriani presenti in rete, in modo da metterle a disposizione di tutti gli interessati. Non ho citerò i nomi degli interlocutori proprio per rendere il più universale possibile il dibattito, svincolato dalla contingenza del momento. In corsivo troverete le domande, in tondo le mie repliche.


La storia di Mignacco, criticata da alcuni per la sua ingenuità, a me non è dispiaciuta.


Il Pascoli elogiava il "fanciullino" che sentiva dentro di sè e che tutti dovremmo riuscire a riscoprire. In ogni caso, ciò che dici dà un quadro abbastanza fotografico della realtà: per quanto molti lettori particolarmente attenti e sensibili a cogliere i motivi di ingenuità o immaturità nelle storie possano non apprezzarne alcune non propriamente riuscite o tali da prestare il fianco a critiche anche giustificate, assicuro che molti altri, quelli magari che non scrivono su Internet e leggono Zagor con atteggiamento più rilassato, non sono altrettanto indignati quanto i primi e magari apprezzano persino le storie più "ingenue" che ricordano loro, chissà, la leggerezza di certi racconti di un tempo. Perché poi se gli stessi criteri con cui, legittimamente e giustamente, si criticano alcune storie di oggi, venissero applicati ai classici del passato, ben poche avventure si salverebbero. In ogni caso, non intendo difendere d'ufficio nessuno, né tantomeno me stesso (anche se io ho ereditato alcune storie che non appartengono, diciamo così, alla mia gestione, e che comunque sono rimaste inedite soltanto per la sovrapproduzione accumulatasi nel tempo, altrimenti sarebbero uscite appena pronte). Vorrei soltanto ricordare come in un contesto di produzione seriale che manda in edicola duemila pagine l'anno, ogni tanto capita che qualcuna non sia felice come qualcun altra.



Io dico sempre che per me i tuoi dialoghi sono a volte troppo meccanici o troppo forbiti, e ipotizzo che ciò sia dovuto alla tua persona, alla tua preparazione, alla tua voglia di mettere tanti spunti in pentola, tante tue informazioni immagazzinate.


In realtà, per come la vedo io, io costruisco i miei dialoghi "forbiti" (ammesso che lo siano) non per "personalizzare" la mia sceneggiatura in modo che si riconosca la mia "calligrafia", ma al contrario per mimetizzarmi in senso nolittiano. Cioè, sono convinto che Nolitta facesse parlare i suoi personaggi esattamente come li faccio parlare io. Lo Zagor di Nolitta parla forbito (cito sempre alcuni frasi come "smussare i punti di attrito"). Basta rileggere lo Zagor più classico per accorgersi che perfino Cico si esprime con una eleganza formale degna di un brillante professore di Oxford. Secondo me, io proseguo la tradizione. Se invece di scrivere Zagor scrivessi un mio poliziesco o una mia miniserie e avessi campo libero nell'espressività, farei dire a miei personaggi le parolacce, se servono alla storia. Ma io non scrivo altro, scrivo Zagor, e sono chiamato a portare i miei lavori sul tavolo di un editore che è anche il creatore dell'eroe e che desidera che questi parli così come lui lo faceva parlare, che si rispettino i suoi ritmi, il suo tipo di umorismo, la sua impostazione dell'avventura, i suoi scenari, la sua tipologia di storie.


Vado pazzo per il filone dei viaggi interdimensionali, quindi mi ha affascinato il soggetto di "Ombre gialle" come mi affascinò all'epoca "La sorgente misteriosa". Qual è il mio personalissimo cruccio? Che secondo me hai avuto un'idea formidabile ma non hai osato uscire dai limiti dell'ortodossia zagoriana e dai paletti che comporta.


Zagor non è un mio personaggio. Io ce l'ho solo in gestione, e mi ritengo molto fortunato di aver avuto questa possibilità. Sergio Bonelli è il creatore di Zagor, il suo più amato sceneggiatore, l'editore del personaggio. Ce n'è abbastanza perché se fa delle richieste io cerchi il più possibile di accoglierle. Come tutti gli editori, decide peraltro cosa pubblicare e che cosa no. Se uno propone un romanzo erotico alle Paoline, probabilmente verrà rifiutato: non rientra nella linea editoriale dell'azienda. Così, se Sergio mi dice di ritenere che i viaggi nel tempo debbano essere evitati perché secondo lui significa raschiare il fondo del barile della fantasia, come se fosse un espediente "troppo facile", anche se non sono d'accordo (perché al contrario io farei, come gran parte dei miei colleghi, una serie tutta incentrata sui viaggi nel tempo), io mi adeguo e accetto di buon grado il suggerimento. Allo stesso modo, così come tutti hanno i propri gusti in fatto di argomenti preferiti (tu mi parlavi della tua passione per i varchi dimensionali), ce ne sono anche sugli argomenti meno preferiti. Non è un mistero che Sergio non apprezzi le storie sugli "antichi romani", ci scherza sempre sopra anche Castelli che ha inserito la questione nel suo librino sulle idiosincrasie bonelliane e ne ha parlato nel catalogo "Audace Bonelli" con il permesso dello stesso interessato. Non so il perché del pregiudizio su centurioni e gladiatori, forse perché in sessant'anni di carriera come editore Sergio si è visto presentare un soggetto "anticoromano" una volta a settimana e si sarà convinto che sia, anche questa, l'ultima spiaggia della banalità, però tutti noi che lavoriamo con lui sappiamo che presentargli una storia in peplum gli farà storcere il naso. Dato che Bonelli ha dimostrato in mille occasioni di avere il polso dei suoi lettori e di aver ragione, ci atteniamo anche a questa sua indicazione. In particolare, lo faccio io che scrivo un SUO personaggio. Dopo vent'anni che lavoro con lui, però, ho imparato anche (almeno un po') cosa Sergio può accettare e che cosa no, e dunque cerco di "mediare" fra le mie esigenze e le sue. Già, perché anch'io ho le mie pulsioni narrative da soddisfare, come tutti gli sceneggiatori. Solo che non scrivo un personaggio mio. Dunque, se la mia idea prevede un cronomoto con orde di barbari proiettate a Darkwood, devo fare in modo che il più autentico custode dell'ortodossia zagoriana me la approvi e in ultima istanza me la pubblichi, e il più autentico custode è chiaramente Nolitta, che di sicuro ben sa cosa vogliono i lettori più tradizionali che costituiscono il patrimonio e lo zoccolo duro di una serie storica come Zagor. Perciò, ho cercato di impostare il mio racconto in modo che per due albi scorra come una tradizionale storia avventurosa e misteriosa, nel solco delle classiche avventure dello Spirito con la Scure, e solo nell'ultimo albo si sveli un arcano magico e potenzialmente dirompente. Non a caso, Sergio ha apprezzato moltissimo le prime due puntate e mi ha rimproverato per la terza. Naturalmente mi ha contestato il viaggio nel tempo e io ho avuto, per fortuna, buon gioco nel ribadire che in realtà Zagor non viaggia tra le epoche, ma è una magia a portare a Darkwood i mongoli. La storia, insomma, è stata impostata per essere il più possibile darkwoodiana, come il nostro editore (e i lettori più fedeli) chiedono con insistenza. Nulla mi è stato rimproverato per gli antichi romani, ma solo perché sono stato ben attento a non farli comparire per più di un paio di tavole. Mi pare un punto di merito, da parte mia, essere riuscito ad accontentare la mia voglia di cronomoti e di legionari inserendoli comunque nella serie senza tradire troppo, nello stesso tempo, le indicazioni del creatore e dell'editore della serie. Sfido chiunque a poter fare di meglio, anzi. Poi lo so anch'io che c'era la possibilità di fare così e quella di fare cosà.
Quando avrò una mia serie e mi sarà data carta bianca, farò esattamente quello che tu mi hai suggerito e anche di più, perché anch'io ho le miei idee e non di rado sono molto più belle (secondo me) di quelle che mi è permesso di realizzare. In questo "mi è permesso" non va letta nessuna polemica, perché sono orgoglioso e onorato di giocare in questa squadra, cosa che reputo un privilegio, ma giustamente quando si fa parte di un team si lavora con gli altri ascoltando le indicazioni dell'allenatore.


Hai mai avuto un momento di "stanca" nel tuo lavoro di sceneggiatore zagoriano, per cui ti sei ritrovato a pensare a qualcosa come: "Che rottura sceneggiare questo Zagor... passiamo a qualcos'altro"?


Le uniche volte che ho pensato (ogni volta per due minuti) di mollare Zagor è stato quando ho subìto critiche ingiuste in redazione. E non ho pensato di passare a qualcos'altro ma di tornare a fare il fornaio come facevo, da giovanissimo, aiutando mio padre. Credo che sarei ancora un buon pasticcere.

Perché non proponi una tua miniserie?


Riguardo la miniserie è ovvio che abbia nel cassetto alcune idee, ma un po' per indole non sono uno che sgomita, un po' ho molto da fare con Zagor e con la trasferta in arrivo non riesco a progettare nient'altro, un po' non ricevo nessun tipo di incoraggiamento in tal senso dai maggiorenti della casa editrice (nessuno che dica: "perché non ci fai una proposta?"), un po' vedo la difficoltà di altri che ci hanno provato e non sono riusciti a far passare idee secondo me molto valide, per cui rimando a data da destinarsi un mio preciso impegno per cercare di realizzare quei due o tre miei progetti che pure mi parrebbero carini. Ma non mi sento frustrato per questo, potendo dedicarmi a Zagor che sento come il "mio" personaggio ideale.


Sono curioso di sapere se hai un metodo particolare per scegliere i libri da leggere; non parlo di quando lo fai per lavoro ma in generale.

Ecco una bella domanda che mi ha spinto a rifletterci su. Innanzitutto, forse dovrei dire che in realtà i libri da leggere non li scelgo o non li scelgo abbastanza, perché ne compro sempre troppi che si accumulano in torri di altezza preoccupante in ogni angolo delle varie case tra cui mi sposto (che sono almeno tre), e in modo particolare sui comodini al lato del letto. Se scegliessi di più, non dormirei nella costante minaccia di un crollo che potrebbe uccidermi nel sonno (anche se potrebbe essere la seconda delle migliori morti possibili - e non chiedermi qual è la prima). Ma, ciò premesso, provo ad azzardare qualche altra risposta. Innanzitutto, vado spesso in libreria e guardo tutti gli scaffali come un goloso in un negozio di dolci. E' difficile che esca senza aver comprato qualcosa. Poi, evito con cura tutti gli "istant book": i libri cioè dedicati all'ultimo scandalo politico, alla vincita dello scudetto da parte di una squadra, all'ultimo attore o cantante sulla cresta dell'onda o appena passato a miglior vita, o le pubblicazioni legate a un programma televisivo o scritte, che so, dal comico di Zelig di turno che raccoglie i propri monologhi. Se compro un libro, dev'essere qualcosa che, almeno in teoria, non sia destinato a invecchiare nel giro di un anno, o a dover essere aggiornato. Un libro, per me, è per sempre e deve restare lì a segnare un punto fermo su qualcosa. Ci sono poi i libri che evito per gli argomenti che trattano, da cui non sono interessato: la psicologia, l'economia, la politica, il diritto, la moda, lo sport, il gossip, il costume, la televisione, le automobili, l'astrologia, la medicina alternativa, l'esoterismo e chissà che altro ancora. In realtà dovrei dire che evito i saggi che parlano di tutto questo in maniera "confessionale", cioè, sostenendo tesi parziali spacciate per universali ma cercando di far proseliti, oppure in modo troppo legato all'attualità dei fenomeni trattati: non leggo magari l'ultimo libro di Morelli ma leggo Freud, non leggo un economista che analizza la crisi in corso ma leggo Adam Smith, non leggo Bruno Vespa ma leggo John Stuart Mill, non leggo l'autobiografia di Totti ma leggo la storia delle scalate del K2, eccetera. Mi piacciono i libri di scienza, di storia, di letteratura, di cinema, di esplorazioni e di viaggi, di filosofia. Tra i romanzi o do fiducia a un autore che già conosco (ho comprato ad occhi chiusi gli ultimi due titoli di Umberto Eco e Arturo Perez Reverte, per esempio) o cerco di capire, leggendo il primo capitolo, se lo scrittore sappia scrivere oppure no, anche quando il titolo o la copertina siano intriganti. Siccome viaggio molto, mi fermo spesso in autogrill e sono diventato un esperto di letture in piedi mentre mangio un panino: ho letto un paio di libri a scrocco arrivando fino a un certo punto in un'area di servizio e ricominciando da dove ero arrivato all'area di servizio della fermata successiva (è il caso di "Caterina" di Antonio Socci, che mi ha lasciato un po' perplesso). Vedo subito se lo scrittore è un pulp senza valore o è un narratore di razza. Di solito, non dò chance a quelli che non mi convincono. Mi fido anche dei consigli degli amici. A volte il parere altrui mi fa leggere libri molto belli come "Caos calmo", che mai avrei comprato di mia sponte (la trama non era proprio la più entusismante, letta nei risvolti di copertina), o "L'eleganza del riccio", consigliatomi da mia sorella e sicuramente uno dei libri più belli che abbia mai letto (devo a mia sorella anche "Il cacciatore di aquiloni" e "Tutto per una ragazza", altri testi che di mio non avrei comprato e invece mi sono molto piaciuti). Ho accennato alla trama nei risvolti di copertina: secondo me, un libro bello deve, in linea di massima, avere una trama interessante. I libri che parlano soltanto dei moti dell'animo o dell'inquietudine del vivere mi fanno venire il latte alle ginocchia. Se però leggo di un mistero, di un'avventura, di un viaggio, di una indagine, di una ricostruzione storica, vengo subito interessato. Guardando le mie attuali letture devo dire che però, sempre più, preferisco i saggi ai romanzi. Non so perché. In ogni caso, ho dieci libri iniziati che porto avanti a spizzichi e bocconi a seconda dell'ispirazione e dell'umore (e delle storie che devo scrivere).


A proposito di Nolitta: ora che ho ricomprato l'intera serie dei tuttoZagor, vorrei scrivere una piccola summa delle critiche che sarebbero state mosse ai suoi capolavori se il nostro forum fosse esistito all'epoca. Ad esempio: l'intera vicenda topica della marcia della disperazione - cioè la cattura di Zagor, l'equivoco in cui cade Winter Snake credendolo un traditore, dato che Zagor è legato e non può svelargli la verità, il conseguente attacco dei Kiowas, il supplizio delle formiche, l'incontro con Frida, e poi tutto il resto - nascono dal momento in cui Zagor viene catturato... credendo che invece di un agguato si tratti di un'altra ammiratrice. E si consegna egli stesso agli assalitori, con un imbelle "Avanti, eccomi pronto per un'altra carezza!"; uno degli sgherri di Memphis Joe commenta pure che "si è fatto prendere come un allocco". Avanti, cosa avremmo detto noi? Che non è possibile, che una simile ridicolizzazione non si è mai vista, che non si può rappresentare Zagor così scemo, che i nemici non possono farsene beffe così, ci mancava solo che cominciasse a slacciarsi i pantaloni, ormai avete fatto sparire la sua capacità di preavvertire i pericoli. Forza Moreno, che sei forte!

Il pubblico per cui scriveva Nolitta era, fortunatamente per lui, molto diverso da quello per cui scriviamo oggi noi sceneggiatori suoi eredi. Non si tratta solo di una differenza d'età (probabilmente davvero all'epoca i lettori erano molto più giovani di quelli di adesso) ma anche di atteggiamento, di cultura, di sensibilità. In ogni caso, Nolitta parlava a giovanissimi cresciuti vedendo i telefilm di Zorro e i film di Tarzan, peraltro abituati a leggere fumetti, e proponeva un personaggio sulla loro stessa lunghezza d'onda. Oggi i ragazzi sono cresciuti a cartoni giapponesi e videogiochi, e leggono solo i messaggi su Facebook. Il pubblico di un tempo, adulti compresi, si meravigliavano più facilmente, quello di oggi hanno già visto tutto; i lettori di una volta erano più disposti alla "sospensione di incredulità", ai giorni nostri ce ne vuole per ipnotizzarli e farli sognare. Anche Nolitta, oggi, avrebbe assai più difficoltà e probabilmente boccerebbe a me o a Mignacco una scena come quella dell'agguato di "Memphis" Joe in "Messaggi di morte". Anzi, oggi staremmo attenti anche a un altro particolare. Fateci caso: all'inizio dello stesso albo, Zagor e Cico lasciano Fort Trust decisi a raggiungere la carovana dei ricchi europei cacciatori di bisonti che minaccia di scatenare una guerra indiana. La logica vuole che Zagor debba raggiungere i carri del barone von Swieten nel più breve tempo possibile, o i danni saranno irreparabili. Per arrivare alla carovana c'è da attraversare una prateria. Zagor e Cico si incamminano a PIEDI. Perchè non si procurano dei cavalli al Forte? A me, lettore dell'epoca, il fatto che lo Spirito con la Scure si muovesse camminando anche in quel frangente andava benissimo e mai ho trovato che ci fosse un problema in questa scelta. Oggi, come sceneggiatore e curatore, mi porrei il problema.

Una delle accuse più frequenti che ti sento rivolgere è quella di "spiegazionismo". Faccio fatica a capire di cosa si stia parlando. Come si fa a tacciare di spiegazionismo qualunque autore pretenda di costruire una storia che abbia un minimo di suspense, intrigo, ossatura, indagine, costrutto, mistero, ricerca e via dicendo. Fatemi capire, togliendo tutti questi ingredienti, con cosa la si costruisce un'avventura? Sia essa nel west, nel west fantastico di Zagor o in qualsiasi altro frangente? A cosa si dovrebbe ridurre una storia di Zagor? A lui che si lancia da liana in liana come un ossesso urlando 'ayaaak' come un pazzo, atterrando tra persone, menando come un ossesso estorcendo informazioni a suon di cazzotti, e ripartendo tra gli alberi?


Anch'io ho le stesse perplessità, ma comunque sia credo, in vent'anni di sceneggiature, di aver scritto storie di tutti i tipi, per tutti i gusti, cercando di accontentare ogni esigenza, ma soprattutto cercando di non tradire mai il personaggio per come credo di conoscerlo. Tuttavia, questa mia versatilità e questa "generosità" di idee (mi si perdoni se me lo dico da solo, non è un giudizio di merito, solo di "quantità" che è un dato di fatto) finisce per non essermi riconosciuta dai detrattori, dai quali, comunque, non posso certo pretendere di essere apprezzato. Se sono detrattori, sono detrattori. Che ci vogliamo fare?



Se è vero, da un lato, che Zagor non ha avuto molti "affari" sentimentali nella sua vita sul palco (poi, tu stesso hai scritto che di quello che accade dietro le quinte a noi non è dato sapere), è anche vero che finora tu, pur con migliaia di tavole sceneggiate, non hai dato vita a una "tua" donna di Zagor. Eppure non si può dire nè che tu non sappia caratterizzare personaggi femminili di grande spessore (Denise Lafitte, Sophie, la Duff, ma anche alcuni minori, mi viene in mente Occhi di cielo), né che tu non te la sappia cavare con i flirts zagoriani inventati da altri (Gambit). Come mai, allora, questa "lacuna" perdura?



E' molto semplice: Zagor non è un mio personaggio, ce l'ho soltanto in affidamento, e ho un grande rispetto per l'indirizzo che Nolitta/Bonelli (il creatore, principale sceneggiatore ed editore dello Spirito con la Scure) decide di scegliere per la sua creatura. Mi è capitato diverse volte di confrontarmi con Sergio e il suo consiglio è sempre stato quello di non far vivere storie di cuore all'eroe di Darkwood, dato che ci sono stati, nel passato della serie, momenti romantici che giustamente devono restare "particolari" e che sarebbero inevitabilmente sminuiti se si ripetessero troppo spesso. Proprio perché altri sceneggiatori si sono presi, in altre epoche, maggiori libertà, adesso la scelta è quella di trattenersi, almeno per un po' di tempo.



Per quanto riguarda l`invecchiamento di Zagor ma anche di Tex sappiamo benissimo che e` un invecchiamento di`facciata` nel senso che noi ci accorgiamo di questo avanzamento nell' età solo quando i nostri raccontano una storia o un'avventura che hanno vissuto prima dell'inizio della serie, oppure quando incontrano di nuovo vecchi amici o nemici già visti che segnano inesorabilmente il loro cammino temporale, oppure ancora quando si racconta il loro passato o quello dei comprimari. Comunque e` solo una mia definizione astrusa oppure la mia constatazione che Ferri stia invecchiando il nostro eroe ha un qualche fondamento di verità?


Riguardo l'invecchiamento, noi sappiamo che Zagor è un eroe di una serie a fumetti e, beato lui, non invecchia mai. Ma nella coerenza narrativa del suo universo, lo Spirito con la Scure non sa di essere un personaggio immaginario: è come Jack Slater, l'eroe interpretato da Arnold Schwarzenegger in "The Last Action Hero". Dunque non è che prima di gettarsi in un pericolo può pensare che se la caverà perché lo sceneggiatore troverà il modo di farlo uscire indenne: lui crede di rischiare davvero la vita. Così, presentandosi agli indiani, non può aver detto: sono immortale e non invecchierò mai, perché dal suo punto di vista lui sa di essere mortale. Dopo dieci anni, deve prevedere che gli indiani si accorgeranno che mente. Quindi, l'intelligenza dell'eroe deve avergli suggerito di non spararla troppo grossa e non pretendere che lo credano invulnerabile (dato che le ferite si vedranno) o eterno (dato che le rughe aumenteranno). Ecco perché sono convinto che la logica imponga che ciò che gli indiani possono credere, e che Zagor ha pensato di raccontare loro, sia che egli gode della protezione di Manito a tutela della missione di cui è stato investito per i suoi meriti di uomo giunto e coraggioso. Una protezione non gratuita e automatica ma subordinata al fatto che continui a essere giusto e coraggioso, dunque al fatto che Zagor se la meriti. Riguardo a Ferri che invecchia Zagor, può essere: anche Galep invecchiava Tex. I disegnatori tendono a dare al proprio eroe il proprio volto perchè disegnando mimano le espressioni e/o si guardano allo specchio. Tuttavia non mi pare un fenomeno troppo vistoso.

Sono rimasto meravigliato dalla prima vignetta di pagina 19 dell`albo "Magia Indiana" Ebbene,proprio in quella vignetta Zagor appena presentatosi ai Sakem di Darkwood dice testuali parole: "Continuerò a essere al vostro fianco ANCORA A LUNGO fratelli rossi....per aiutarvi a vivere in pace fra voi e con i bianchi". Ebbene,proprio quell`ANCORA A LUNGO mi dà da pensare: ma come?Se tutti gli indiani a parte MOLTI OCCHI ritengono ZAGOR un vero spirito immortale dovrebbero dare adito a quelle tre parole del nostro che in pratica ammette implicitamente forse anche a se stesso che lui in realtà non e` immortale, seppur presentatosi come un dio caduto dal cielo!


Personalmente, senza rinnegare niente del mito zagoriano così come l'ha immaginato Nolitta cinquant'anni fa (prendendolo anche un po' in prestito da quello dell'Uomo Mascherato), tendo a non calcare la mano sulla presunta immortalità di Zagor. Questo, per non far sembrare gli indiani dei creduloni pronti a farsi gabbare dal primo ciarlatano di passaggio, e dunque per rispetto verso i pellerossa. Ciò non significa che Zagor non debba fare i suoi trucchi, e infatti glieli faccio fare e invito gli altri sceneggiatori a inventarne di nuovi. Però, i trucchi devono essere molto buoni, lo scopo deve essere nobile e soprattutto l'intento non deve sembrare quello di beffarsi dei nativi ma quello di assecondare la loro spiritualità, parlare il loro linguaggio dei simboli, rispettare le loro credenze. L'idea che mi sono fatto è che Zagor non si propone come immortale, ma come PROTETTO dal Grande Spirito, oltre che da lui ispirato e investito di una importante missione. Che Zagor non sia invulnerabile, del resto, i pellerossa lo hanno visto mille volte. E se il nostro eroe non potesse morire, non sarebbe neppure eroico. Che coraggio ci vuole, a un immortale, nel buttarsi nei pericoli? Invece Zagor soffre e può morire. Probabilmente tutti lo vedono anche invecchiare, dunque non potrebbero crederlo immortale. Quello che gli indiani credono è, secondo me, che Zagor abbia l'appoggio di Manito nella misura in cui lotta dalla parte giusta: se dovesse essere dalla parte del torto, perderebbe anche questa protezione. Ciò detto, anche ipotizzando, però, che Zagor sia immortale, la frase "continuerò a essere al vostro fianco ANCORA A LUNGO" (che non sono neppure andato a controllare, prendendola per buona sulla parola) non contraddice in niente l'aura leggendaria che circonda lo Spirito con la Scure. Uno può essere immortale e svolgere il ruolo di difensore di Darkwood soltanto per un lungo lasso di tempo e non per l'eternità. Magari, dopo cento anni Zagor si sposta a proteggere i popoli del Sud Ovest o quelli dell'Amazzonia. Dovendo ubbidire al volere di Manito, Zagor è pronto anche a spostarsi o a cambiare missione. Promette solo che la sua missione lì durerà ancora a lungo. Tutto qui. A lungo può voler dire anche mille anni, per altro, che è quasi l'eternità, per quel che mi riguarda (nella scala temporale della mia vita, cioè). Non so se sono stato convincente, ma ho provato a esserlo.

Tu fissi il disegno in una striscia, descrivi l'ambiente con i personaggi e detti un testo ben preciso. Immagino poi che questo plico con la sceneggiatura lo darai al disegnatore e tu conoscendolo, sarai più prolisso o meno a seconda di come sai che ti interpreterà. ma il disegnatore, quanto può permettersi di modificare la divisione della tavola in vignette o il testo? Il testo deve essere rispettato sempre e in modo letterale? Un'altra domanda: per una storia esistono dei "modelli" di lunghezza? se si quali sono? Mi spiego meglio: sai già quanto la storia deve essere lunga in tavole e quindi adegui la narrazione a quello oppure vai a ruota libera e quando finisce, finisce (a parte quando deve concludersi fisicamente con la fine dell'albo)? So che sono domande ingenue, ma mi hanno sempre incuriosito i particolari, tutto il gran lavoro di preparazione nascosto dietro il prodotto finito.

Effettivamente a volte sono più dettagliato a volte meno, non solo sulla base del talento del disegnatore (è chiaro che se so che certe scene potrebbero essere più problematiche per qualcuno, cerco di spiegarle meglio, mentre se sono convinto che chi disegna vada sul velluto sono molto essenziale) ma anche sulla base della difficoltà della scena da illustrare. Se si tratta solo di far camminare Zagor e Cico nella foresta, non devo spiegare nulla di particolare, basta invitare il disegnatore a rifarsi a mille esempi già visti per capire il tipo di ambientazione. Se si tratta di descrivere un ambiente nuovo (come per esempio il porto del Callao a Lima dove Zagor è sbarcato in una storia che sto scrivendo adesso) sono enciclopedico nella descrizione e nella documentazione. Sono più attento con i nuovi disegnatori e più rilassato con quelli già rodati, com'è logico. Il disegnatore in teoria non può permettersi di cambiare la divisione in vignette né tantomeno il dialogo, però se nota un evidente errore in un balloon o ha un'idea per migliorare la scansione della scena mi può chiamare e suggerire una modifica, dato che tutti lavoriamo al miglior risultato possibile. Certo che se io scrivo che servono sei vignette e me ne ritrovo quattro, se chiedo un campo lungo e trovo un primo piano, non va bene: a ciascuno il suo lavoro! Sempre, sì. In modo letterale, no. Si cerca di collaborare per ottenere il meglio, ognuno secondo il suo talento. Io suggerisco una scena, una inquadratura, a volte soltanto una situazione: il disegnatore è chiamato a capire il senso più che la lettera della scena. A me fa picere se un disegnatore è coinvolto nel racconto e si sente, dal modo in cui lo interpreta, che ci mette del suo. Ma di "interpretazione" si tratta, appunto. Come un cantante che interpreta una canzone: si rispetta un testo, uno spartito, ma quanta differenza tra un interprete e un altro! I modelli di lunghezza sono un albo di 94 pagine (per esempio, un Almanacco); un albo di 160 pagine (lo Speciale); 188 pagine = 2 albi; poi tre albi o quattro se proprio è una storiona. Per il Maxi abbiamo deciso di non fare più storie di 318 ma di limitarci a 286 (o meno, scendendo per sedicesimi). In genere cerchiamo di stare in questi limiti. Poi, se alcune storie particolari necessitano lunghezze spurie (due albi e mezzo, tre albi e mezzo) se ne può parlare. Ovviamente la lunghezza di una sceneggiatura deve essere commisurata agli eventi previsti dal soggetto. Non si possono far stare in 94 pagine gli eventi di "Odissea Americana", non si possono dilatare in quattro albi i fatti di Indian Circus (se restano solo quelli). In genere non vado a ruota libera, cerco di attenermi ai limiti, e soprattutto cerco di rispettare un mio "metronomo" interiore e suonare "a tempo" sulla base del ritmo di Zagor, per cui senza allungare il brodo o senza singhiozzi sincopati. Poi, se nuove idee che mi sono venute o esigenze narrative particolari mi fanno capire che non posso stare in due albi o tre albi esatti, decido di allungare (se ci sono i tempi e per il bene della storia).

sabato 29 gennaio 2011

FATE IL VOSTRO GIOCO

Mi è capitato di raccontare, qualche giorno fa, di una mia visita alla biblioteca umanistica di Sélestat, in Alsazia, a metà strada fra Colmar e Strasburgo. Credevo che i vecchi codici e gli antichi incunaboli fossero un argomento che interessasse soltanto me (penso sempre di essere strano e diverso dal resto del mondo), invece ho ottenuto, in pubblico ma soprattutto in privato, molte più reazioni di quanto potessi immaginare. Ho ricevuto addirittura un invito a visitare, con tanto di visita guidata, una biblioteca romana dove si possono ammirare cimeli come quelli custoditi dalla raccolta alsaziana.
Ma, tra le risposte giunte per mail e per telefono dopo la pubblicazione de "La fatica di scrivere" (questo il titolo del mio articolo), una ha creato una corto circuito non solo con tutta una serie di altri post, ma anche con una "posta". O meglio, con una "Postaaa!", dato che così si chiama la rubrica di corrispondenza con i lettori firmata da Sergio Bonelli su ogni albo di Zagor. Cercherò di spiegarmi meglio.


Innanzitutto, leggiamo che cosa scrive proprio l'editore di Via Buonarroti a pagina 4 dello Zenith n° 536, "L'uomo venuto dall'Oriente", del dicembre 2005. Si tratta di qualcosa di abbastanza insolito.
"Cari amici, si è concluso da poche settimane il Salone del Fumetto di Lucca, e come di consueto alcuni autori zagoriani si sono incontrati con i lettori presso il nostro stand, firmando dei disegni: c'erano, questa volta, Gallieno Ferri e Mauro Laurenti. Proprio quest'ultimo è stato anche protagonista di un altro avvenimento lucchese: la presentazione, nell'ambito della sezione Lucca Games, di un gioco da tavolo (per la precisione, un "gioco di piazzamento") chiamato 'Big Manitou' imperniato sulle leggende dei pellerossa e sulla mitologia del loro mondo. Laurenti, infatti, e un altro importante disegnatore della nostra Casa editrice, Corrado Mastantuono, sono stati premiati con una 'menzione speciale della Giuria' per aver realizzato i disegni delle carte da gioco e l'immagine della scatola che le contiene.
Di solito, lo ammetto, sono sempre perplesso quando, in molte manifestazioni, vedo abbinati i fumetti e i giochi (di ruolo, da tavolo o elettronici che siano), dei quali mi dichiaro profano. Stavolta, avevo almeno tre motivi per dedicare la mia attenzione a uno di questi 'games': perché le illustrazioni di 'Big Manitou' sono davvero belle e suggestive, sia perché il gioco parla degli Indiani d'America (la cui epopea è alla base di Tex, di Zagor, di Magico Vento e di molte altre nostre serie), e, infine, perché una mostra dei disegni originali dei due autori - allestita a Lucca per l'occasione, intitolata 'Dai balloon al tavolo da gioco' - ha sottolineato i punti di contatto fra il mondo dei games e quello dei comics. Il gioco, pubblicato da 'What's Your Game?' si può trovare nei negozi specializzati".

Vedete qui accanto due disegni di Mastantuono (tra cui la copertina del gioco) e più sotto due illustrazioni di Laurenti.



Che cosa c'entra tutto questo con la la Bibliotheque Humaniste di Sélestat? Ci arrivo, anche se non prima di aver sottolineato come, guarda caso, ci è capitato di tornare a parlare di Mauro Laurenti come illustratore e come titolare di una mostra, esattamente come un paio di post fa. Bene: ma chi è che, all'epoca di "Big Manitou" aveva coinvolto Mauro nell'iniziativa, commissionandogli i disegni? Uno dei curatori del gioco, il cui nome è Alessandro Lanzuisi, legato da una vecchia amicizia con il fumettista romano. Proprio lo stesso Lanzuisi, subito dopo aver letto del mio interesse per i codici medievali, mi ha contattato per farmi sapere di aver realizzato, poco tempo fa, un altro gioco da tavolo intitolato, non a caso, "De vulgari eloquentia". Cioè, come il trattato scritto (in latino) da Dante Alighieri con l'intento di giustificare e caldeggiare l'uso del volgare (cioè del proto-italiano) nelle composizioni letterarie, visto che nella sua epoca (a cavallo tra Duecento e Trecento) ormai i poeti provenzali avevano ormai dato l'esempio anche a quelli italiani nell'uso di una lingua scritta che fosse simile a quella parlata, e dunque comprensibile da tutti, mentre in precedenza si scriveva, per consuetudine e per un malinteso senso di nobiltà della cultura, soltanto in latino.
Ora, non sfuggirà ai più attenti dei miei ventitré lettori (uno in meno di quelli di cui si accontentava Guareschi, che già se ne era tolto uno dai venticinque che riteneva di avere Manzoni) il fatto che, anch'io, come Bonelli, ho di recente espresso le mie perplessità di fronte ai giochi elettronici (giustificando la mia diffidenza sulla base degli esempi visti in mano ai ragazzi di famiglia, che mi sembravano non avere niente di particolarmente interessante da farli preferire ai fumetti, che anzi, a mio avviso sono in grado di dare dei punti a qualunque pim-pum-pam da playstation).

Ma "Big Manitou" non è un gioco elettronico e, se qualcuno un giorno mi invitasse per fare una partita, accetterei di buon grado (mentre rifiuterei con un garbato "no, grazie" un invito a cimentarmi con Super Mario o Lara Croft). Sono sempre stato incuriosito, del resto, dai giochi alla "Dungeons & Dragons" e può darsi che mi appassionerei a quelli di ruolo, se mi capitasse di provare.


Subisco invece il modo totale il fascino dei giochi da tavolo in scatola, quelli più tradizionali tipo il "Monopoli". Il mio preferito in assoluto è "Risiko", per cui vado matto, e che gioco nella versione originale, anche se ho provato i vari aggiornamenti. Me la cavo anche con gli scacchi mentre mi annoia la dama (però, volendo, conosco le regole). Se qualcuno mi chiedesse perché il Risiko sì e Lara Croft no, potrei rispondere con mille argomenti ma lo farò, forse, in un'altra occasione (tanto, è comunque una battaglia di retroguardia e per di più già persa).

Torniamo ad Alessandro Lanzuisi. Il quale mi telefona e mi dice di aver collaborato a questo gioco, appunto il "De vulgari eloquentia", sull'origine della lingua italiana lavorando all'idea e allo sviluppo, insieme all'autore Mario Papini, per circa un anno. E' ambientato in Italia, nel tardo Medioevo, quando inizia a guadagnare d'importanza il Volgare, la lingua parlata dal popolo. I giocatori, mi è stato spiegato, devono fare la loro parte rappresentando una delle tante categorie sociali che ebbero un ruolo nelle varie nella nascita di questo nuovo neolatino. Per vincere bisogna però essere in grado di comprendere i codici scritti nei vari dialetti italiani, e magari riuscire a scoprire i segreti custoditi nei libri della Biblioteca Pontificia. Per farlo, qualche giocatore abbraccia la vita religiosa, scalando le gerarchie ecclesiastiche (e si può perfino essere eletti papa), altri restano mercanti e percorrono altre vie.
Era inevitabile che io gli chiedessi qualche chiarimento in più, a partire dal punto principale: è un gioco elettronico, di ruolo o da tavolo?
Risposta di Lanzuisi: "NON è un videogioco, assolutamente! E' un gioco da tavolo (tipo Monopoli, Risiko, eccetera, anche se totalmente diverso come svolgimento). Ha un tabellone che raffigura l'Italia medievale, pedine in legno, tessere in cartoncino che raffigurano i manoscritti, ducati, personaggi e altro. L'Italia è suddivisa in zone colorate che rappresentano le diverse lingue che si parlavano all'epoca. All'interno delle zone ci sono le città (Milano, Roma, Napoli, eccetera), ognuna con un valore economico e/o culturale. Ci sono poi 'disseminati' monasteri, cattedrali e abbazie (dove il giocatore può cambiare lo status del proprio personaggio, per esempio, da mercante a frate, oppure dove si ottengono alcuni benefici, come quelli degli amanuensi). Sono poi raffigurate cinque città 'francescane' (Assisi, Gubbio, Celano, eccetera): in queste, i giocatori possono ricercare 'Il Cantico delle Creature', testo che rappresenta uno dei primissimi testi in volgare di cui ci è giunta notizia. Non si utilizzano dadi, i giocatori si spostano sulla mappa usando delle 'azioni'; fra queste, c'è anche quella di potersi muovere sia via terra che via mare".


Chiedo a Lanzuisi se potrei giocarci con i miei figli, distribuiti tra la seconda media e la terza liceo. Risposta: "Il gioco non è semplicissimo per chi è abituato solo a Monopoli, ma dopo un paio di partite di pratica tutto diventa molto più semplice. E' da due a cinque giocatori, diciamo dai dodici anni in su, anche se credo sia giocato molto di più dagli adulti. Dura circa un paio d'ore (meno se si gioca in due o tre). I giocatori partono come mercanti e dovranno attraversare l'Italia medievale studiano nelle varie Università per accrescere la loro conoscenza. L'Italia è suddivisa in zone, in ciascuna delle quali si parla un diversa lingua (d'Oc, d'Oil, fiorentino, scuola palermitana, eccetera). Dovranno apprendere i manoscritti e i testi redatti dagli amanuensi se vorranno fare punti vittoria. Poi potranno scegliere se diventare frati o cardinali (c'è la possibilità di darsi alla vita religiosa). Solo chi sarà diventato Cardinale potrà essere eletto Papa a fine partita. Comunque si può vincere come mercante, come frate e come cardinale. Il gioco poi contiene diverse 'chicche': la ricerca del Cantico delle Creature, l' Indovinello Veronese, il Salterio. Insomma, ci sono tanti riferimenti storici e culturali. Non è semplice sintetizzare le regole del gioco. I giocatori devono fare più punti per vincere. Si fanno punti grazie ai vari manoscritti presi in base al livello di conoscenza raggiunto, grazie alla carriera che durante il gioco si riesce a fare (mediante l'appoggio di politici, nobili e badesse): da mercante a banchiere, da frate a monaco benedettino, da cardinale a camerlengo o papa. Si ottengono punti grazie anche ai primi documenti scritti in volgare che i giocatori riusciranno a trovare".

A questo punto la cosa si è fatta, almeno per me, particolarmente interessante. Ho chiesto quando sia uscita il gioco, dove lo si possa trovare, quanto costi. Lanzuisi risponde: "Il prezzo al pubblico è di circa 40 euro. E' uscito lo scorso novembre ed è stato pubblicato in Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, Canada e Australia".
Il gioco è edito in Italia da Giochix. Si può scaricare il regolamento in italiano cliccando qui e in lingua inglese da Z-Man Games cliccando qua. Un sito italiano dove si possono leggere recensioni del gioco (e una scheda che riassume gli aspetti) è Goblins. Un possibile shop on line dove acquistare è questo.

L'accenno ai Paesi stranieri mi fa chiedere ad Alessandro qualche notizia in più sul mercato internazionale dei giochi realizzati in Italia. Risponde Lanzuisi: "Vengono tradotti anche all'estero, anzi, il mercato principale è lì. In Italia la diffusione è di qualche migliaio di copie, salvo eccezioni. All'estero si va anche per le decine di migliaia di copie e in alcuni casi anche molto di più (200-300mila copie o più)".
Chiedo se i giocatori di giochi da tavolo siano gli stessi che giocano anche ai giochi elettronici. Risposta: "No. Non sono gli stessi giocatori che giocano alla Playstation, anche se non escludo che qualcuno giochi alla Play e anche a questi giochi da tavolo. In generale, chi gioca alla Play ha un'età media inferiore rispetto a chi gioca al De Vulgari o ad altri giochi da tavola. In Italia, escludendo prodotti derivati da pubblicità televisive e di mass market, i giocatori hanno un'età media di 25-35 anni. Almeno per questa tipologia di prodotto. All'estero, specie in Germania, sono invece di larghissimo consumo. In Germania i più famosi (cosiddetti per famiglie) vendono anche milioni di copie. Non è il caso del 'De Vulgari', ahimè, che è un prodotto volutamente un po' più di nicchia".

Altra inevitabile domanda: ma qual è il tipo di lavoro che fa Lanzuisi? "Io lavoro come sviluppatore di giochi (ma lavoro anche come 'agente' per l'acquisizione di diritti dall'estero e come traduttore e revisore di regolamenti). Per il 'De Vulgari' collaborato allo sviluppo del gioco. Per farti capire meglio, è un po' come il lavoro di editing che si fa su un fumetto o un libro. L'autore porta un prototipo di un gioco, poi lo sviluppatore lo lima, modifica, aggiusta, eccetera, secondo le esigenze del mercato e dell'editore. Alla fine, tutte le meccaniche devono funzionare, non ci devono essere 'buchi':un po' come nelle sceneggiature di fumetti. Ho lavorato anche come coordinatore nazionale dei tornei di Bang!, gioco di carte western italiano tra i più diffusi (ha venduto nel mondo 500000 copie). Attualmente lavoro come libero professionista, non sono legato in particolare a nessuna azienda. In questo momento sto lavorando a un gioco complesso come il 'De Vulgari' ambientato nell'Atene di Pericle e a un gioco per bambini dai quattro ai dieci anni. Altri giochi a cui ho lavorato sono Siena, Ur, Ghost for Sale, Fairy Tales (che ho importato dal Giappone), Borneo, Fatal, tra gli altri. Per quest'ultimo, ho realizzato anche un breve fumetto di 3 pagine, come sceneggiatore, scaricabile da internet. Anche Luca Enoch ha collaborato a questo progetto con cinque illustrazioni".

Riguardo a 'Siena', vedete poco sopra la bella copertina del gioco, che ha vinto il Best of Show a Lucca Games, il cui tabellone raffigura l'affresco del Buon Governo del Lorenzetti. In pratica, si gioca sul quadro. Che dire di più? Lara Croft, scusami, ma preferisco Dante e San Francesco.