giovedì 13 agosto 2015

POESIE RITROVATE



Giovedì 6 agosto, a Gavinana (PT), ho presentato, in una affollata piazzetta sotto il campanile delle pieve,  un mio nuovo libro: la raccolta commentata di oltre cento “poesie ritrovate” del poeta Giuseppe Geri. A questo autore, che si firmava “Geri di Gavinana”, avevo già dedicato un altro lavoro, "Il poeta delle piccole cose"). Le liriche sono state lette dall’attore Bruno Santini, applauditissimo dal pubblico. Della serata, Marco Ferrari ha fatto un esaustivo resoconto sulla rivista on line “Linee Future”, e ovviamente ne hanno parlato i giornali e le TV locali.

Il titolo “Poesie Ritrovate” fa riferimento al fortunato caso che ha messo a mia disposizione, e a disposizione di tutti, tre grossi quaderni contenenti alcune centinaia di composizioni inedite del cantore montanino. Si tratta di un tesoro di poesia ma anche e soprattutto di umanità, di sentimenti, di emozioni e di memorie. Memorie di un uomo ma anche di un territorio, di un’epoca, di una identità culturale. Per quanto le opere del Geri siano note soprattutto in ambito locale, non soltanto sulla montagna pistoiese ma anche in Garfagnana dove visse a lungo, lo spessore letterario e artistico della sua produzione trascende di gran lunga i limiti in cui si è diffusa e raggiunge valore universale. 

Giuseppe Geri nacque a Gavinana (nel come di San Marcello, in provincia di Pistoia) il giorno di Ognissanti del 1889. Frequentò soltanto la terza elementare, per il resto fu completamente autodidatta. Fu un “poeta operaio” e poi un “poeta pensionato”. Lavorò nelle officine di Limestre fino agli anni Trenta, poi per motivi aziendali fu costretto a trasferirsi a Fornaci di Barga, in provincia di Lucca. Fece spesso ritorno a Gavinana, quando il lavoro glielo permetteva, e anche a Fornaci non mancò di conquistare la simpatia degli abitanti del luogo, continuando a poetare nella sua nuova casa. Nel suo paese d’adozione fu così stimato e considerato che gli è stata dedicata persino una via.

Geri non si sposò mai, e scrisse di considerare la “musa” come una moglie e i suoi sonetti come dei figli. Morì nel 1975, e come aveva chiesto tornò a Gavinana per esservi sepolto.  Dotato di un innato senso metrico e di fresca inventiva poetica, durante tutta la vita scrisse poesie, rispondendo a un bisogno insopprimibile del suo animo. In una composizione dedicata al romano Trilussa, il pistoiese scrive: 

E pure sento anch’io, signor Trilussa,
quest’arte come un impeto divino
che tante volte all’anima mi bussa.


Luigi Russo

Alcune di queste composizioni vennero fatte leggere, all’inizio degli anni Venti, al critico letterario siciliano Luigi Russo (1892-1961), noto per i suoi studi sul Metastasio, professore universitario a Firenze e poi direttore della Scuola Normale di Pisa. Al Russo, che trascorreva sulla montagna pistoiese molti dei suoi momenti di vacanza, non sfuggirono del doti del poeta illetterato e si impegnò per promuovere la pubblicazione delle sue composizioni in una silloge intitolata “Fiori di bosco”, edita da Vallecchi nel 1929. In seguito, quando il professore compilò alcune sue antologie di poeti italiani a uso degli studenti delle scuole medie e superiori, non mancò di inserire qualche lirica del gavinanese. Commentando la propria presenza accanto a quella di figure quali Pascoli o D’Annunzio nel florilegio intitolato “L’ora mattutina”, Giuseppe Geri scrive:

Fra tutti quei colossi
io qui ci rappresento
come se non ci fossi
o edera aggrappata a un monumento.


Dopo “Fiori di bosco”, le poesie del cantore montanino comparvero su varie riviste e furono anche diffuse attraverso un intenso carteggio con letterati di tutta Italia. Sarebbero auspicabili studi accademici che approfondissero questi aspetti. Instancabile, comunque e soprattutto, fino al giorno della morte del poeta, la sua distribuzione di testi consegnati a mano a tutti quanti lo circondavano, a Gavinana come in Garfagnana. Una caratteristica del tutto singolare del modus operandi del Geri era, appunto, quello di scarabocchiare poesie improvvisate su foglietti di carta volanti, che poi il poeta regalava agli amici e, talvolta, anche agli sconosciuti. Alcuni venivano recuperati, e ci fu chi cominciò a raccoglierli e a batterli a macchina. Laura Tonietti, a cui si deve rendere merito per aver svolto questa attività, mise insieme circa 150 manoscritti. Proprio grazie alla raccolta dei foglietti affidati “al vento”, nel 1994 è uscito un libro postumo, a cura del Moto Club di Fornaci di Barga e di Milvio Sainati in particolare. “80 anni di poesia”, questo il titolo, si fregia anche di una prefazione di Gian Luigi Ruggio, all’epoca conservatore di Casa Pascoli a Castelnuovo. Nel 2012 è toccato al sottoscritto l’onore e l’onere di raccogliere una selezione delle cose migliori (almeno a mio giudizio) pubblicate nei due libri precedenti, in una antologia edita dall’Associazione Achilli di Gavinana e intitolata “Il poeta delle piccole cose”, corredato da un saggio critico a mia firma. Adesso, giunge il nuovo volumetto e che si deve, appunto, al ritrovamento di numerose altre composizioni inedite. 

Così riferisce l’accaduto Marco Ferrari, autore di un articolo uscito nel luglio 2015 sulla già citata rivista online “Linee Future”, che si occupa di cronaca pistoiese: “Sono emersi dal passato e si sono materializzati quasi per magia fra le mani di Roberto Geri, nipote di quel Geri di Gavinana conosciuto e ricordato da tutti in paese come il Poeta. Si tratta di tre manoscritti contenenti poesie per lo più inedite. Quaderni vergati a mano di cui si era persa la memoria e si ignorava l’esistenza. Grande è stata quindi l’emozione provata dal nipote Roberto nello sfogliare e leggere, non senza incredulità e commozione, le poesie dello zio risalenti a più di ottanta anni fa, e nel realizzare l’importanza del ritrovamento fatto”. 

Roberto Geri, dal canto suo, racconta: “Nell’aprile dello scorso anno, nel corso di lavori fatti nella casa di Gavinana, mi sono trovato nella necessità di spostare il baule dei ricordi dello zio, in cui tuttora sono custoditi gelosamente i libri a lui appartenuti. Un baule pesante. Per spostarlo si è reso necessario aprirlo e svuotarlo. Un’operazione fatta altre volte nel passato, ma questa volta è stato diverso. Il caso, il destino, o forse lo zio, di cui ricorrono i quaranta anni della dipartita, ha voluto che il mio sguardo si posasse, prima su uno, poi sul secondo e infine sul terzo, di quelli che a prima vista sembravano degli anonimi registri contabili, adagiati sul fondo del baule. Li ho tolti, impilati uno sopra l’altro, e posati sulla pila di libri che nel frattempo si era formata sul pavimento. Uno di questi, inavvertitamente è caduto e aprendosi, ha mostrato il suo contenuto. Se non mi fosse scivolato dalle mani, sicuramente non sarebbe mai stato aperto. Nell’atto di raccoglierlo e di chiuderlo, l’occhio si è posato sulla pagina aperta. Ho indugiato, la vista a quest’età è quella che è. Ho cercato di mettere a fuoco la scritta e ho letto, cosa strana, e forse non del tutto casuale, il titolo di una poesia: Il destino. Ho iniziato, distrattamente a sfogliare il libro dei conti, ma non c’erano numeri, né somme o sottrazioni, ma parole, versi, rime e poesie. Una dopo l’altra, pagina dopo pagina. La voce mi si è increspata e la vista mi si è fatta ancora più annebbiata. Ho chiamato mia moglie perché mi portasse gli occhiali da lettura”.

Roberto Geri
A questo punto Roberto Geri si rende conto che i tre quaderni sono pieni di poesie scritte a mano dallo zio Giuseppe, in gran parte materiale inedito. Si tratta di tre grossi manoscritti rilegati, grossomodo formato protocollo, ciascuno contenente circa cento composizioni. Sulla copertina dei primi si legge, scritto a mano:

Poesie di Giuseppe Geri
Gavinana
1925 (1)

Geri di Gavinana
Malinconie
1932 (2)

Sulla copertina del terzo non c’è alcuna scritta, ma subito all’interno leggiamo:

1943 (4)
e nella pagina successiva:
Geri di Gavinana
I canti di un montanino (titolo cancellato)
Sulle rive del Serchio (titolo definitivo)

Sembra evidente che manchi un volume (3). Non resta che sperare in un successivo ritrovamento.

L'annotazione con il numero (4) sul terzo volume



Alcuni mesi di lavoro hanno permesso a chi scrive (a cui sono stati affidati in prestito i quaderni) di selezionare le composizioni contenute in questa antologia, essendo necessaria una scelta per motivi di spazio. Il criterio seguito è stato quello di non pubblicare le composizioni già note, anche quando se ne riscontrano versioni alternative con varianti più o meno notevoli (soprattutto nel primo quaderno ci sono molte poesie finite poi in “Fiori di bosco”, ma con versi diversi rispetto a quelli conosciuti). Tolto il materiale già edito, si sono scartate le poesie con riferimenti a persone e a fatti contingenti della vita privata del Geri, non immediatamente comprensibili, così come le tante “lettere in rima” con cui il gavinanese era uso scrivere ai suoi amici o corrispondenti, contenenti spesso ringraziamenti per favori o regali ricevuti o inviti a incontri conviviali. In presenza di opere di argomento molto simile (come l’alternarsi delle stagioni o il rimpianto della gioventù perduta) ho scelto di selezionare il componimento più rappresentativo. Sono stati privilegiati i testi più attuali e universali, quelli che possono parlare ancora oggi a tutti noi (il Geri, comunque, non ha perso niente della sua freschezza). Qualora l’interesse dei lettori lo richiedesse, esiste materiale sufficiente per riempire sicuramente altri libri come questo. 

Mi sento in dovere di segnalare che, trattandosi di testi manoscritti compilati in modo evidentemente frettoloso, pieni anche di cancellature e correzioni, ho ritenuto di dover intervenire qua e là per restituire ai versi la punteggiatura mancante o la sillaba sfuggita. Del resto, la presenza di versioni alternative (presumibilmente precedenti) di testi già noti fa ipotizzare che prima della pubblicazione a stampa di “Fiori di bosco” il poeta abbia rivisto e perfezionato i suoi lavori, forse indirizzato dallo stesso Luigi Russo. Dunque lo stesso tipo di ripulitura e di aggiustamento si è reso necessario anche per la raccolta che state per leggere. I quaderni del Geri restano comunque a disposizione, custoditi da Roberto Geri, per chiunque voglia studiarli o curarne una migliore e più completa edizione.


L’esame dei manoscritti permette di ricostruire un quadro più vivido e completo della vita del poeta, rispetto alle informazioni già note. Ci sono per esempio annotazioni dell’autore riguardo a certe composizioni da lui lette personalmente in alcune circostanze pubbliche (per esempio è rintracciabile una poesia dedicata alla località di Maresca, recitata dallo stesso autore nel teatro di quel paese), oppure relative alla pubblicazione di alcuni versi su quella o quell’altra rivista. Interessanti i testi che testimoniano avvenimenti storici o fatti di cronaca, come l’imperversare della “spagnola”, gli scontri fra “rossi e fascisti” o il primo avvento della radio.

"Una riconciliazione tra rossi e fascisti"
Le opere radunare in questo volume confermano quel che sappiamo su un aspetto importante della personalità dell’autore: il doppio registro della sua produzione, basata sull’alternarsi del comico e del malinconico. L’arguzia e l’umorismo di molte composizioni non devono far pensare al Geri come a un personaggio ilare, ma mascherano in realtà il suo eterno male di vivere (il che lo rende ancora più attuale e contemporaneo). Tuttavia il suo naturale sense of humor stempera l’amarezza della sua inquietudine.

In alcune poesie il poeta fa riferimento ai libri contenuti nella sua biblioteca e di cui lui amava leggere qualche pagina ogni sera, almeno finché gli occhi gli restavano aperti. Nonostante non mancasse mai di sottolineare il fatto di essere “senza scuola” e di non poter competere con i più colti di lui, tuttavia elenca gli autori di cui conosce le opere, come il Pascoli (ammette in un verso di sentirsi “pascoliano”), il Prati, il Tasso, Trilussa, il Fusinato.

Testimonia il Russo: «Ebbe amicizie con villeggianti di un qualche nome o fama, Cadorna, Michelangelo Billia, Carlo Delcroix, a cui prestò devozione di compagnia». Scrive ancora il critico: «L’autore è un operaio di Gavinana, che lavora nelle officine di Limestre, laggiù vicino a San Marcello Pistoiese. Se andate a Gavinana, insieme col Crocicchio, Pian de’ Termini, Rio Apiciano, Ferruccio, il Monumento, dopo i primi giorni che siete arrivato lassù, sentirete discorrere del Poeta. “Quello è il Poeta!” vi diranno premurosi i paesani, a stuzzicare e come a secondare la vostra curiosità di uomini libreschi. E vi indicano un giovane, che sale verso la quarantina, asciutto, con le mascelle serrate, con la fronte stempiata e lucida e bruna di sole, e con l’aria un po’ raccolta e un po’ trasognata, propria ai taciturni camminatori di questi monti. Vi provate a discorrerci: grande timidezza, brevità e imbarazzo di parole, che pure escono all’aria, sfiorate da un lieve palpito di arguzia. Si avverte subito la spiritualità e sincerità dell’uomo».



Se volete procurarvi il libro (costa 10 euro), scrivete o telefonate all'Associazione Musicale e Culturale Domenico Achilli – Piazzetta Aiale, 24 – 51028 Gavinana (PT) – Tel: 0573 66057 – Email: associazione.achilli@gmail.com

Quella che segue è un una brevissima scelta di alcune delle opere ritrovate del Geri.


Geri di Gavinana
POESIE RITROVATE

A una nuvola

Nuvola pellegrina
che vai raminga nell’oscurità,
dimmi: che porti? Quale novità?
Porti tempesta, grandine o la brina?
Dimmi, vieni dal mare?
Porti la pioggia o vento?
O nuvoletta, tu mi fai spavento,
cammina su nel ciel non ti fermare.
O forse cerchi l’altre tue sorelle?
Volete far vendetta?
O nuvoletta, vai, cammina in fretta,
cammina su nel ciel che c’è le stelle.



Un lutto

Vidi mia madre in lutto,
vidi mia madre in pianto,
ed io compresi tutto
del suo dolor, del pianto.

Mandò l’ultimo canto
la rondinella a sera,
vidi mia madre in pianto,
vidi una bara nera.



Le due sorelle

Io avevo due sorelle,
una bionda e l’altra mora,
tutte e due leggiadre e belle
e gentil come l’aurora.
Ma la bionda mi è sparita,
se ne è andata all’altra vita.
Mi hanno detto che lassù
più risplende il suo bel viso
dove è gioia ed è sorriso
ma non tornerà mai più.
E la mora sta lontana,
nella terra pascoliana.
Colgo e bacio il primo fiore:
il pensier quel bacio porta
su la viva e su la morta,
tutte e due lo stesso amore.

Giuseppe Geri di fronte alla sua casa

Nell’orto

Un noce, dei peri, un fiore appassito,
patate, fagioli adornano l’orto.
Non sono felice, ma pur mi conforto
all’ombra silente d’un pesco fiorito.
Mia madre mi guarda, sorride, ma mesta,
nel verde profondo del monte rimira,
mi chiama per nome, solleva la testa,
poi guarda nel cielo e sospira sospira…


Giuseppe Geri con i fratello Guido nel 1916


Il mio nome

Mi sento dir che son ricco d’ingegno,
che presto il nome mio verrà immortale:
non ci trovo fin qui nulla di male,
ma chi lo dice non darà nel segno!

Mi avessero provato nel disegno,
qualcosa avessi fatto di speciale…
per salir in alto, ci vorrebbe l’ale
e non la testa come me, di legno.

Forse perché dirò qualche strambotto
e scrivo qualche volta in poesia,
m’avranno preso per un uomo dotto.

Ma vi assicuro sulla fede mia
Appena so contar quattr’e quattr’otto.
Se questo basta, allora così sia…



Birichinate

Ero un ragazzo come tutti gli altri,
pieno di vita e pieno di clamore,
facevo per le strade anch'io rumore
come fan tutti i ragazzotti scaltri.

Tiravo sassi sulla banderuola,
azzoppavo ogni tanto una gallina,
saltavo volentieri la dottrina
e tante volte non andavo a scuola.

Andavo a nidi o pure a chiappar grilli,
(eran le cose a me più preferite),
mi arrampicavo sulla vecchia vite,
mandavo in casa dei sonori strilli.

Rompevo qualche pentola in cucina,
tribbiavo scarpe e non lavavo piatti,
mi divertivo a strapazzare i gatti
con tutta l'aria mia più birichina.

Poi mi ricordo quando la mia nonna
restava tutto il giorno a gola aperta
a chiamar “Peppe!” ed era cosa certa:
la facevo dannar, povera donna.





La radio

Si sente proprio gli uomini cantare,
tossire, bisbigliar, ripigliar fiato,
che vien per forza voglia di guardare
se dentro c’è qualcuno rimpiattato.
Chi parla dista più di mille miglia,
è cosa da destare meraviglia.

Pensar che con due fili e una cassetta
si sente quel che dicono a Milano:
se c'è al Teatro il ballo o l'operetta,
se parla in piazza qualche ciarlatano;
non da Milano sol, da mezzo mondo
si sente uno quando gira al tondo.

Io tante volte mi sbattezzerei
e dico: se si va di questo passo
un giorno o l’altro, ci scommetterei,
persino i morti si rivede a spasso.
Beati quelli che morranno allora,
che lo faranno sol per qualche ora.



Nostalgie paesane

Penso sovente alla mia casetta,
ai miei morti, lassù nel cimitero;
penso al crocicchio dall'aguzza vetta
dove salivo un dì gagliardo e fiero.
Penso agli amici con malinconia,
sento di Gavinana nostalgia.

È vero che non son tanto lontano,
ma non so quando potrò tornare.
Maturerà nei campi il biondo grano,
quant'acqua ancora scenderà nel mare!
Ritornerà la rondine alla gronda,
quando sarà per me l'ora gioconda?

Vorrei sentir cantare l'usignolo
nei boschi silenziosi di Batoni;
dove la sera tante volte solo
meditai versi per le mie canzoni;
vorrei vedere nella bella valle
ancora svolazzare le farfalle.

E queste grandi e piccole cosette
che per altri non hanno alcun valore,
io le conservo fra le mie dilette,
fra le memorie care del mio cuore;
mi lasciano nell'animo un rimpianto
e sgorga questo mio povero canto.




La bilancia

Perché venire al mondo,
perché restar tanti anni?
Chi mai chiese di nascere,
se non ci son che inganni?
Capisco che la vita
non è che una missione,
ma la bilancia pende
e senza paragone.

L'autografo de "Il gatto ne cassettone"


Il gatto nel cassettone

L'altra notte mi successe un fatto
che voglio raccontar, care persone.
Tutte le notti il mio signore gatto
se ne andava a dormir nel cassettone.

E io poggiai la sveglia sopra un piatto
ci misi un soldo per precauzione,
ché quando fosse l'ora dello scatto
facesse più solenne confusione.

Difatti all'ora che suonò la sveglia
il piatto, il soldo... fu un acciottolìo,
che il gatto, che dormiva, mi si sveglia

con la paura e fece un tal fottìo
per scappar fuori, che nel dormiveglia
ebbi paura più del gatto anch'io.

Fornaci di Barga


Novità?

Nulla di nuovo c'è qui nel paese,
se piove un giorno quasi sembra un mese,
se un giorno è bello poi quell'altro piove
quaggiù a Fornaci non ci son nuove.

La settimana dura quanto un anno,
ma gli anni son veloci e se ne vanno,
l'ore son lunghe e non passan mai
ma i giorni volan e questi son guai.

Così pian, piano, via di questo passo,
senza profitto, senza fare chiasso,
ti annoi, sbadigli, fai la tua partita
e come un lampo passa anche la vita.

Mi pare un sogno, e mi sembra ieri,
che aveo vent'anni ed eran giorni fieri,
ma già di tempo ne è passato tanto;
e sempre avanti, via, con questo canto,
si arriva al giorno della dipartenza:
per tutti passerà la diligenza.

Sei giovani gavinanesi negli anni Venti. Giuseppe Geri è in alto al centro con i baffi.


Il destino

Ognuno segue del proprio destino
tutta la strada che in terra ci addita,
così trascorre tutta questa vita,
sino a quel giorno che viene il becchino

Non si sa se sia lontano o sia vicino
e quando è l'ora di farla finita,
ma per giocare l'estrema partita
ci vorrebbe di fare l'indovino.

C'è chi cammina, chi sempre in vettura,
c'è chi va a piedi per pestarsi i calli,
chi ha la testa grossa e chi l'ha dura.

Ma viaggiare a piedi e sui cavalli
quando vien quella che ci fa paura
finiscono poi tutti i suoni e i balli.



Perché?

Perché la notte nel buio profondo
sono le stelle chiare e lucenti?
E l'usignolo canta giocondo
nei più soavi, gentili accenti?

Perché del pero, fra il verde e il biondo,
lenti i suoi rami muovono lenti?
E sul cipresso dal ciuffo tondo
tanti uccelletti stanno contenti?

E perché il cane dorme tranquillo,
guardia fedele vicino all'aia,
e perché l'eco senti di squillo?

Perché il gallo canta e il cane abbaia,
se stride forte nel prato il grillo
o suona il passo della massaia?

Giuseppe Geri negli ultimi anni della sua vita


Acqua passata

Or della gioventù perdo l' impronte
e crescono gli affanni coi pensieri,
ma quattro rime sono sempre pronte,
o bene o male spesso e volentieri.

Prima mi alzavo al limpido orizzonte
e camminavo i taciti sentieri
quando trovavo qualche fresca fonte
bevevo sempre senza usar bicchieri.

Ora per quelle vie più non cammino
mi sento stanco e poi ci vedo poco
e foro ogni momento e vo pianino.

Ma un giorno o l'altro cambierò loco,
farò amicizia stretta col becchino,
e finirà per sempre questo gioco.

Pasqua 30 marzo 1975
(ultima poesia nota)