venerdì 22 gennaio 2016

IL MOSTRO DI PHILADELPHIA



E' in edicola  “Il mostro di Philadelphia”, l’albo di Zagor n° 606 (Zenith 657). I testi (che proseguono una storia iniziata il mese precedente) sono miei,  la copertina di Gallieno Ferri.  All'interno, i disegni di Fabrizio Russo (alla sua prima esperienza zagoriana) concludono con un finale drammatico una trama cupa e noir, come si conviene a un racconto che ha per co-poptagonista lo scrittore Edgar Allan Poe. Era dai tempi in cui Mauro Boselli ha introdotto Poe nella saga zagoriana che pensavo a farlo tornare non come agente di Altrove (nome in codice: Raven), ma come figura tormentata. Appunto per questo, al suo primo apparire, lo vediamo recarsi all'ufficio postale con una lettera in mano indirizzata a un ammiratore, un certo Kennedy: le parole scritte in quella missiva sono vere, corrispondono cioè a quanto lo scrittore vergò di suo pugno proprio scrivendo a un mittente con quel nome. E' stato il modo di dire: il Poe che vi sto presentando è quello della realtà (almeno, di quella parte di realtà che può servire a rendere meno fantastica una "fabula" in cui compare un personaggio storico). 

Ci sono parecchi altri elementi tolti dalla biografia dell'autore de "Le avventure di Gordon Pym": per esempio, la sua casa era davvero così (anche se quella utilizzata era a Boston e non a Philadelphia). Per esempio, realmente qualcuno raccontò a Poe l'episodio degli atti di cannibalismo tra naufraghi, avvenuto durante la tragica odissea dei marinai dell' Essex, una baleniera di Nantucket affondata nel 1820 (se ne parla anche nel film di Ron Howard "Heart of the Sea" uscito, guarda caso, proprio in concomitanza con la prima parte della storia dello Spirito con la Scure). Per esempio, Poe era davvero ossessionato dal ricordo di  un uomo di nome Reynolds, tanto che sul letto di morte (1849) invocava nel delirio proprio questo nome. Ci sono poi le citazioni delle opere dello scrittore, da cogliere come inside joke: a "La lettera scomparsa" rimanda la scena all'ufficio postale in cui l'impiegato non trova la corrispondenza, a "I delitti della Rue Morgue" strizza l'occhio la "Morgue Street" che compare in una vignetta. 

Ho letto il commento di un emulo del l'indimenticabile Signor Emilio  (se non ricordate chi è, cliccate qui) in cui ci si dice basiti dell'efferatezza e della violenza di alcune scene. Rispondere mi è molto facile: l'efferatezza e la violenza sono quelle di Poe, dato che tutto ciò che si vede o è la semplice messa in scena delle pagine del suo romanzo (una lettura davvero angosciante) o ne è la diretta derivazione. Il tema del cannibalismo era già stato trattato su Zagor in almeno due altre occasioni: in "Sierra Blanca" e nello speciale "La leggenda di Wandering Fitzy", certo con modalità meno cupe, ma del resto non si può ignorare che una delle serie di maggior successo in TV sia "The Walking Dead", dove uomini che mangiano uomini sono l'argomento stesso di cui si narra, e la macelleria abbonda. Evidentemente c'è chi desidera che invece gli autori di Zagor ignorino ciò che avviene attorno a loro e non cerchiano, almeno in parte, di adattarsi al linguaggio degli altri media concorrenti. Non è che i cadaveri squartati si vedano su ogni albo, anzi, al contrario. Tuttavia, se la storia lo richiede, il ricorso a certe immagini deve poter essere nella disponibilità degli autori. Ciò detto, per quanto mi riguarda vi ricorrerò il meno possibile.