lunedì 14 maggio 2012

IL CUSTER DELLE STELLE



Domenica 13 maggio 2012, sono riuscito finalmente a togliermi un peso dalla coscienza e chiedere pubblicamente scusa a un grande autore per una terribile figuraccia il cui senso di colpa mi toglieva il sonno da ventitré anni. Chi era presente a Orvieto, all’incontro sul fumetto western organizzato nel Palazzo del Popolo da Paolo Cannavò, sa già di che cosa si tratta. Per tutti gli altri, quelli colpevolmente assenti, lo spiego subito. Della manifestazione orvietana ho già parlato nell’articolo precedente e dunque non mi dilungo, se non per dire che la città sulla rupe è sicuramente uno dei luoghi più belli d’Italia. Sono rimasto incantato non soltanto dalla bellezza dei monumenti, ma anche dalla cucina, dal vino e dal paesaggio della campagna circostante. “It’s so green!” ho sentiti dire da una estasiata turista americana affacciata con me dal parapetto su una balza.

Ma arriviamo al dibattito “Il western ha la pelle dura”, ospitato nella Sala dei Quattrocento, a cui mi è stato chiesto di fare da moderatore, avendo accanto a me Lorenzo Bartoli, Gianluca e Raul Cestaro, Paolo Eleuteri Serpieri e Mauro Laurenti, oltre che Graziano Romani pronto come sempre a esibirsi con la chitarra. L’incontro è andato benissimo, davanti peraltro a un folto pubblico. E, nel finale, ho potuto raccontate a tutti, e in primo luogo proprio a Serpieri, il seguente aneddoto risalente al 1989.
All’epoca, io ero un giovane fanzinaro impegnato anima e corpo nella realizzazione di una rivistina chiamata “Collezionare”, di cui vi ho spesso parlato. Nel febbraio di quell’anno, come di consueto, si svolse a Prato la tradizionale mostra mercato allestita nello shopping center Pratilia (ho già scritto qui sul blog anche di questa kermesse, oggi scomparsa e da tutti rimpianta). Il principale ospite della manifestazione era proprio Paolo Eleuteri Serpieri, che io già consideravo un mito vivente dopo aver letto “Morbus Gravis” (la prima avventura di Druuna) e, soprattutto, le storie western originariamente apparse su Lancio Story, poi ristampate dall'Isola Trovata e quindi ripubblicate nella Collana West  (quando già l'Isola Trovata apparteneva a Sergio Bonelli).
Quest'ultima edizione consisteva in sei volumetti brossurati 21x28, in bianco e nero: per la precisone, il n°9 (“Battere il colpo”), il n° 11 (“Le regole del gioco"), il n°13 (“Sioux”), il n° 15 (“Donne di frontiera”), il n°17 (“I cacciatori”), il n° 19 (“Visi rossi”). In più, la collana Gli Albi di Orient Express (sempre Isola Travata) avevano pubblicato, nel loro n°5, un albo a colori di 48 pagine dal titolo “L’indiana bianca”. Oggi, tutto il West di Serpieri (comprese le storie non raccolte precedente in volume) è disponibile in sei cartonati delle Edizioni Di, dal titolo collettivo di "Opere prime".  Si trattava di western atipici, basati su una attenta ricerca iconografica sui quadri dei pittori del West e sulle foto dell’epoca, per cui i personaggi avevano le facce bruciate dal sole, le rughe simili a canyon, gli abiti impolverati. Insomma: per un appassionato del western come me (che però amavo anche la fantascienza e l’erotismo e dunque Druuna mi mandava in visibilio), Serpieri era (ed è ancora oggi, ovviamente) un maestro indiscusso e indiscutibile. Riuscire ad avere una copertina con la sua firma per “Collezionare” e strappargli una intervista, sarebbe stato il massimo. Mi feci coraggio, mi avvicinai, e gli chiesi tutte e due le cose. L’autore si dimostrò disponibile e, nonostante il cipiglio austero che lo contraddistingueva, si sedette con me e mentre gli facevo le domande con l’aiuto di un registratore, schizzò con cura, su un foglio che gli avevo porto, il ritratto di un indiano. Quel disegno divenne in effetti la copertina del numero 14 di “Collezionare” datato maggio 1989.
Per l’interno, io preparai un articolo dal titolo “Il Custer delle stelle”, partendo dal presupposto che, all’epoca, Serpieri mi sembrava assomigliasse al colonnello Custer, corredato da una bibliografia e dalla trascrizione dell’intervista realizzata. Fino a quel momento, “Collezionare” era una rivista “fatta in casa”, battuta a macchina e stampata con il ciclostile. Ma proprio in concomitanza con la copertina dell’autore di Druuna passammo alla realizzazione tipografica, sia pure fatta con il massimo risparmio (dato che i nostri fondi non ci consentivano di meglio). E se in precedenza io stesso avevo fatto la grafica delle cover, spesso ricorrendo ai “trasferelli”, quella volta ci affidammo, per la prima volta, all’impaginazione al computer curata da esterni (ci eravamo rivolti a una ditta specializzata, visto che nessuno dei redattori ce l’aveva, il computer). Com’è come non è, riuscimmo probabilmente a controllare abbastanza bene tutta la composizione interna, ma poi, presi della fretta, mandammo in stampa la copertina realizzata come ultima cosa, probabilmente licenziandola così come l’aveva composta il tipografo, dandoci soltanto un’occhiata al volo: sembrava che tutto fosse OK. 

Nell’editoriale della rivista, così presentavo al pubblico il n°14 dalla veste rinnovata: “Cari amici, ce l’abbiamo fatta. Il passaggio dalla stampa ciclostilata a quella tipografica, da tutti auspicato e da alcuni indicato addirittura come l’unico passo ancora da compiere da parte della nostra fanzine per poter avere tutti i carismi della vera rivista, è – per questo numero- una realtà. Per questo numero, diciamo, perché si tratta si una conquista tutt’altro che definitivamente acquistata. Occorrerà verificare se la diffusione della testata subirà l’incremento che ci auguriamo e che ci permetterebbe di far fronte alle spese in più che triplicate, dandoci anche la possibilità di migliorare la resa tipografica nei prossimi numeri.  Godiamoci comunque questo momento di euforia, e nel farlo lasciateci spendere qualche parola di ringraziamento verso alcune persone che ci hanno dato una mano incoraggiando i nostri progetti: si tratta di Paolo Ferriani e Luigi Bernardi, quest’ultimo anche prestigioso direttore responsabile di questo numero; di Sergio Bonelli, che da sempre segue con simpatia il nostro lavoro e che ha dedicato a Collezionare un entusiastico commento sulle pagine di Zagor; di Franco Spiritelli, di Fumo di China, prezioso distributore di consigli, indicazioni e suggerimenti e generoso elargitore di amichevoli recensioni nei nostri confronti; e infine di Luciano Tamagnini dell’ANAF, con cui abbiamo istaurato un cordiale rapporto di proficua collaborazione. E grazie naturalmente a tutti voi, che in questi ultimi mesi ci avete scritto e telefonato praticamente in continuazione, sollecitandoci a fare sempre di più e sempre meglio”. 

Ecco, appunto, “sempre meglio”. Tanto meglio che quando ritiriamo dalla tipografia le mille copie (o quel che erano) tutte stampate e ben imballate in pacchi da cento, e le portiamo a vendere a non so quale mostra mercato in giro per l’Italia, per poi spedirle alle fumetterie e agli abbonati, non ci accorgiamo di un piccolo particolare. Preso dall’entusiasmo, io per primo non me ne rendo conto finché non penso di spedire una copia della rivista proprio al grande autore che ci ha regalato la cover. E’ soltanto allora che mi accorgo, con assoluto terrore, che c’è un refuso in copertina. Il caso peggiore che possa capitare a chiunque pubblichi qualcosa. Anziché “Incontro con Paolo Eleuteri Serpieri”, c’è scritto, il caratteri cubitali, “Incontro con Paolo Eleutieri Serpieri”. Eleutieri e non Eleuteri! Una cosa clamorosamente tragica. Caddi con la testa sulla scrivania, battendoci ripetute zuccate, e rinunciai, vinto dalla vergogna, a inviare il numero di “Collezionare” all’interessato (sperando che la realizzazione delle nuove storie di Druuna lo distraesse dal notare un refuso, sia pure madornale, su una rivistina distribuita per posta e brevi manu).

Per anni ho fatto finta di non aver mai scritto un articolo intitolato “Il Custer delle stelle”. Oggi, dopo aver fatto sorridere Serpieri con il racconto del tragico aneddoto, mi sento sollevato ed eccolo qui, riproposto per voi, dopo ventitré anni. Per la cronaca, non credo più che Serpieri assomigli a Custer. Propongo un accostamento con Mark Twain. Ditemi voi che cosa ne pensate.


COLLEZIONARE N°14 – Maggio 1989

Paolo Eleuteri Serpieri
IL CUSTER DELLE STELLE
di Moreno Burattini

Impossibile non accorgersene: Paolo Eleuteri Serpieri assomiglia in maniera eccezionale al generale Custer. E del resto lui non fa niente per nascondere questa singolare somiglianza, anzi si direbbe che tenda ad accreditarla lasciandosi crescere una capigliatura fluente proprio come quella della quale andava orgoglioso il mitico comandante del 7° cavalleria, e coltivando degli eleganti baffi dell tutto simili ai suoi. Come se non bastasse, quando noi di Collezionare lo incontriamo a Prato, nel corso del XII convegno internazionale del fumetto e del fantastico che gli ha dedicato una bellissima mostra antologica di tavole originali, Eleuteri Serpieri indossa un a giacca di pelle con frange che sottolinea ancora di più questo divertente gioco di sovrapposizione tra uno dei protagonsti dell’epopea del West e il disegnatore che della realtà di questa epopea maggiormente ha saputo rendere ragione nei suoi fumetti.
Nato a Venezia il 29 febbraio 1944, Paolo Eleuteri Serpieri completa a Roma i suoi studi Accademici dedicandosi all’attività di pittore e di docente in un istituto d’Arte. Quando nel 1975 decidie di occuparsi a tempo pieno di fumetti iniziando a collaborare con il settimanale Lancio Story, si rivela subito non solo autore professionalmente già maturo e dotato di una notevole tecnoca grafica, ma anche interprete personalissimo del genere wester e profondo conoscitore della storia e della cultura dell’ovest americano. È risaputo, tra l’altro, come egli sia anche un buon musicista country e un vero e proprio esperto di questo genere musicale. Le sue tavole arrivano ben presto sulle pagine di riviste di prestigio quali Orient Express e L’Eternauta, e la sua colalborazione viene richiesta anche dalla casa francese Larousse che lo chiamava a lavorare per l’Histoire du Far West, un’opera di grande impegno che gli apre le porte del mercato d’oltralpe. Le storie del west, realizzate in tandem con lo sceneggiatore R.Ambrosio consegnano ai lettori un imamgine degli uomini e dei luoghi della frontiera americana molto diversa da quella di maniera a cui ci avevano abituato gli stantii cliché di molti film e fumetti. Corpi, visi, azioni e oggetti vengono scolpiti con efficaci colpi di pennello che costruiscono una grafica espressionistica oltremodo incisiva, tutta tesa alla rappresentazione di drammi reali ed intensi, individuali e collettivi, che nascono dallo scontro traumatico tra uomin di diverse culture all’interno di un dantesco scenario di forze naturali.
La grande suggestione che le tavole di Eleuteri Serpieri riescon ad evocare, nasce soprattutto dalla loro straordinaria capacità di immergere completamente il lettore all’interno di un’epopea dove non c’è spazio per le sovrastrutture romantiche del mito costruito artificiosamente da scrittori e registi, e dove i luoghi comuni del topos  leterario cedono il posto alla vivida ed esaltante esaltazioni storica. Tutto questo non significa che il western di Eleuteri Serpieri abbia le caratteristiche di una piatta analisi documentaristica: anche se l’autore ha attentamente le testimonianze inconografiche dell’epoca, le sue tavole rianimano come per incanto le vecchie foto ed i rari dipinti e  ci fanno sentire il fascino selvaggio e spietato di un mondo scomparso, entrando comunque a far parte del nostro immaginario collettivo. Dopo aver realizzato con Antonio anche una grande biografia di Cavallo Pazzo, Eleuteri Serpieri decide di cimentarsi con la sceneggiatura delle proprie storie, firmando sia i testi che i disegni de L’Indiana Bianca, un’avventura a lungo respiro, giocata anche su ricordi cinematografici (John Wayne e Natalie Wood in “Sentieri Selvaggi”, di John Ford, del 1956) rivisitati comunque con un’ottica nuova, aspra e demistificante. 

Poi improvvisamente il nostro Custer del fumetto chiude il sipario con gli scenari del west e lo riapre sull’apocalittico futuro di Morbus Gravis, un serial di un allucinante orrore stellare ambientato all’interno di una gigantesca astronave alla deriva nello spazio, i cui occupanti hanno perso ogni cognizione della realtà in cui si trovano e si vanno via via disumanizzando. Se il punto di riferimento qui è chiaramente è da ricercarsi nel celebre romanzo “Universo” di Robert Heinlein, in realà le sconvolgenti tavole della nuova saga recano un messaggio che tocca il cuore dei lettori: in una condizione di orrendo degrado fisico, ambientale e culturale le uniche speranze di redenzione sono affidate ad una giovane donna, Druuna, che è riuscita a conservare intatte le sue doti di autenticà umanità. È doveroso aggiungere che in Francia il volume cartonato che ha raccolto il secondo episodio di “Morbus Gravis” ha venduto oltre centomila copie, e già si sta preparando l’edizione del terzo. Un grosso successo per il fumetto italiano. Peccato, davvero peccato, che Nemo Propheta aceptus est in patria sua e che da noi tirature del genere per un volume a fumetti ce le possiamo soltanto sognare.

INTERVISTA A PAOLO ELEUTERI SERPIERI

Collezionare: con la pubblicazione in volume del secondo episodio di “Morbus Gravis”, Druuna, L’eroina, si presta a diventare protagonista di una vera e propria saga fantascientifica. Lei ha dunque abbandonato definitivamente le lontane frontiere del west?

Eleuteri Serpieri: Per adesso sì, perché il pubblico al quale erano dedicate le avventure western è diminuito vertiginosamente: è un pubblico ridottissimo, magnifico, però adesso lavoro sui diritti d’autore pubblicando dei libri e ho bisogno di un pubblico più vasto.

C: Mentre per le storie del West lei si affidava ad uno sceneggiatore quale Ambrosio, per Morbus Gravis ha deciso di scrivere da solo il soggetto. Si trova a suo agio in questa doppia veste di scrittore-disegnatore?

ES: Con Ambrosio mi trovavo molto bene: lavoravamo insieme anche per quanto riguarda i soggetti e le sceneggiature. Poi Ambrosio, che è un  avvocato, si è ritirato da questo genere di attività ed io mi sono ritrovato da solo. Ho cominciato a guardarmi un po’ attorno, ma alla fine ho deciso di fare tutto da me. Avevo già fatto qualche tentativo realizzando una storia western, “L’indiana Bianca”, ed ho visto che mi trovavo a mio agio, non dovevo spartire con nessuno la responsabilità di questo prodotto. Devo dire che è molto più piacevole, più affascinante affrontare da solo la storia. Inoltre io non faccio sceneggiature vere e proprie, ma scrivo più di un soggetto, quasi un romanzo, con i dialoghi e il resto; poi passo al disegno, creando in questo modo mi diverto di più: mi sembra di vivere la storia che sto illustrando. Infatti, Druuna è raccontato in un modo diverse all’usuale: non ci sono didascalie ed è quasi in “presa diretta”.

C: Com’è nato un personaggio come Druuna, il suo più recente successo?

ES: inizialmente il personaggio principale non diveva essere femminile. Andando avanti ho visto che la storia  mi prendevam ed ho continuato, anche se non avevo un riferimento preciso: non avevo ancora un editore, lavoravo per conto mio. Poi, cercando il miglior offerente, ho incontrato la casa editrice francese Dargaud ed ho cominciato a lavorare alla storia con più impegno. Scoprendo, che in realtà Druuna era la protagonista. Inoltre la Dargaud era maggiormente interessata ad un personaggio femminile, e allora il racconto si è dilatato a tal punto che adesso dovrò fare acnhe episodi successivi. Per ora ci sono molte richieste, vedremo cosa succederà in futuro.

C: Vedremo mai un Tex di Paolo Eleuteri Serpieri?

ES:  In realtà questa idea mi stuzzica molto, però preferirei fare un Tex completamente mio, anche come storia: basterebbe accordarsi con Sergio Bonelli, il quale, almeno per ora, non mi ha chiesto nulla. L’inconveniente è che una storia di Tex è composta da molte tavole ed ai miei ritmi perderei un anno dietro ad un lavoro del genere.

C: Infatti le sue tavole dono molto elaborate. Quanto tempo impiega per realizzarne una?

ES: adesso sono più lento, lavoro molto meni di prima, quando riuscivo a fare anche una tavola al giorno con una certa disinvoltura. Ora in una settimana riesco a fare tre pagine, ma capita spesso che per due settimane poi non faccia niente oppure che realizzi qualche illustrazione per altri editori. Non ho, dunque, i ritmi di un tempo e ciò è dovuto soprattutto a ragioni di svogliatezza.